giovedì 27 marzo 2014

Il grano e la zizzania - Mt 13,24-43


 

1.   Perché c’è il maleUn uomo scopre che, mentre era al lavoro e sua moglie era in ospedale, sua figlia s’è portato in casa il fidanzato e gli si è offerta sul talamo paterno. Un altro scopre che suo fratello, con il quale aveva fondato una cooperativa, gli ha rubato per anni la metà dei profitti comuni. Un altro s’accorge che un prete, a cui confidava tutto di sé, è persona poco affidabile. Di episodi di questo genere è piena la memoria di ogni essere umano.
Perché questo accade? E come ci si deve comportare in situazioni simili? Sono le antiche domande, che attraversano le letterature civili e religiose, antiche e moderne, e le cronache di ogni giorno. La prima risposta è di ordine intellettuale: potrebbe non interessare qualcuno. La seconda è di ordine pratico: interessa tutti certamente.
Alla prima domanda Gesù risponde: “Un nemico ha fatto questo” (v. 28). Poi spiega che questo nemico è «il diavolo». Quindi, non è sufficiente dire che il male umano dipende dal DNA, dai cromosomi di ogni individuo, dalle condizioni sociali in cui vive, da una cattiva educazione ricevuta in famiglia, da cattivi compagni di vita. Queste spiegazioni sono interessanti, ma non fanno luce completa sul problema. Soprattutto non chiariscono perché un uomo, onesto per tutta la vita, alla fine si lasci travolgere dal male, e perché un peccatore incallito all’improvviso decida di fare la strada inversa.

2.  Come comportarsi Alla seconda domanda: «Come bisogna comportarsi in casi di questo genere?», Gesù risponde che non bisogna lasciarsi travolgere dal desiderio di estirpare subito il male. Nell’estirpare la zizzania, può essere danneggiato il grano, dice Gesù nella parabola (v. 29); e, in quanto all’uomo, non sa con certezza che cosa sia il grano e che cosa sia la zizzania. Non si può, per tornare ad uno dei due esempi dati all’inizio, cacciare di casa la figlia che ha profanato il talamo dei suoi genitori.
In quanto poi ai doveri dell’autorità sia civile che religiosa, si deve qui osservare che la parabola, come ogni parabola, ha un suo limite: non intende insegnare che le autorità civili o religiose debbano tollerare il male fino alla fine del mondo. In una parabola non può esserci tutto il Vangelo[2]. Una norma di logica e di sana interpretazione biblica stabilisce che i brani della Scrittura siano correlati tra loro, in modo che un brano illumini e chiarisca l’altro.
Il limite della parabola è evidente anche quando ci si interroga sul comportamento dei cristiani di fronte alle ingiustizie perpetrate dai violenti contro i deboli. Quel Dio che, come si legge nella Bibbia, abbatte i violenti ed è solidale con i poveri della terra, non può tollerare il silenzio e l’inerzia di coloro che Egli ha chiamato per costruire sulla terra il suo regno.

3. Cosa c’è in me?Tornando ancora sulla domanda: «Come bisogna comportarsi di fronte al male?», e riducendola a un quesito strettamente personale, chiediamoci: «Come devo comportarmi con me stesso? Cosa c’è nel mio cuore? Grano o zizzania, e in che misura?».
Quando nel meditare riflettiamo su questa domanda, di solito confessiamo: «In me c’è più zizzania che grano», e ci sembra di essere impresentabili agli occhi di Dio. Da questa desolazione dello spirito nasce buona parte della nostra inerzia religiosa. Dovremmo smetterla di impantanarci nel pessimismo.
La storia è, nel suo complesso, una nube scura. Può darsi che lo sia anche la nostra vita. Ma questa nube scura è attraversata, come da un raggio di sole, dallo sguardo di Dio. Dio guarda al nostro buon grano, anche se non fosse molto e non fosse un grano di qualità. È un Dio di infinito amore e perciò di infinita pazienza. Se lo crederemo veramente, saremo in grado di aprirci anche noi a un’infinita pazienza verso gli altri e di diventare, nei loro riguardi, dei ponti di trasmissione di quella luce che viene solo da Dio.

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