giovedì 27 marzo 2014

L'unico vero Dio e i falsi idoli


1 Non a noi, Signore, non a noi,
ma al tuo nome da' gloria,
per il tuo amore, per la tua fedeltà.
2 Perché le genti dovrebbero dire:
»Dov'è il loro Dio?».
3 Il nostro Dio è nei cieli:
tutto ciò che vuole, egli lo compie.
4 I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
5 Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,
6 hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.
7 Le loro mani non palpano,
i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!
8 Diventi come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida!
9 Israele, confida nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.
10 Casa di Aronne, confida nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.
11 Voi che temete il Signore, confidate nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.
12 Il Signore si ricorda di noi, ci benedice:
benedice la casa d'Israele,
benedice la casa di Aronne.
13 Benedice quelli che temono il Signore,
i piccoli e i grandi.
14 Vi renda numerosi il Signore,
voi e i vostri figli.
15 Siate benedetti dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
16 I cieli sono i cieli del Signore,
ma la terra l'ha data ai figli dell'uomo.
17 Non i morti lodano il Signore
né quelli che scendono nel silenzio,
18 ma noi benediciamo il Signore
da ora e per sempre.
Alleluia.

L'idolatria

Nella società odierna, parlando di idoli o di idolatria si è portati subito a pensare a quelle statuette d'oro, d'argento, di legno o di altro materiale, che gli antichi popoli della terra si fabbricavano per rendere loro il culto, adorandole e attribuendo ad esse doti divine o molto spesso identificandole con delle presunte divinità.
Leggendo i libri dei profeti Isaia e Geremia, possiamo trovare la descrizione della loro fabbricazione; statuette che raggiungevano dimensioni umane rappresentanti "dei domestici", i cosiddetti terafim. Altre statue raggiungevano dimensioni colossali come quella eretta nella Pianura di Dura dal re Nebucadnetsar (v. Daniele 3:1).
Si può pensare a quei riti misticheggianti che i popoli primitivi compivano in onore di divinità sconosciute effettuando sacrifici umani per ottenere la protezione degli dei, la fecondità della terra, la vittoria nelle battaglie e nelle guerre, ecc.
Volendo adeguarci ai nostri tempi, se effettuassimo un sondaggio d'opinione tra la gente comune, chiedendo cosa sia l'idolatria e se tutt'oggi esiste, la maggioranza di esse risponderebbe esprimendo i concetti sopra citati ed affermerebbero che l'idolatria oggi esiste soltanto tra i popoli meno civilizzati. Se l'uomo d'oggi fosse accusato di essere un idolatra, certamente resterebbe turbato, scandalizzato se non addirittura offeso da tale affermazione.

Quindi la civilizzazione dell'uomo avrebbe sconfitto l'idolatria, a noi tanto lontana; invece non è così. Tutt'oggi l'idolatria è presente anche tra le persone cosiddette «civilizzate». Il vero senso dell'idolatria può essere sintetizzato in questa affermazione:
L'idolo può essere una persona o una cosa che nel nostro cuore prende il posto di Dio: anche le cose che a noi possono sembrare banali, se occupano nel nostro cuore lo spazio che spetta a Dio, sono idoli.
Inoltre, l'amore del denaro, la concupiscenza, l'avarizia, la ghiottoneria sono tutte forme di idolatria. Lo sport, il potere, il sesso, l'io dell'uomo, anche l'amore per una persona possono diventare idoli. Se si mette al posto del Creatore la creatura si entra nell'idolatria.
"Fate dunque morire le vostre membra che son sulla terra: fornicazione, impurità, lussuria, mala concupiscenza e cupidigia, la quale è idolatria" (Colossesi 3:5).
"Poiché voi sapete molto bene che nessun fornicatore o impuro, o avaro (che è un idolatra), ha eredità nel regno di Cristo e di Dio" (Efesini 5:5).
Pensiamo per esempio alle grandi manifestazioni sportive e alla grande attenzione che suscitano; durante i periodi dei mondiali di calcio (dove viene celebrato il "dio pallone"), i giornali, la televisione, i mass-media in genere concentrano l'attenzione dell'intero globo, facendo passare in secondo piano notizie magari ben più importanti. Non c'è nulla di male nello sport o in altre cose, quando queste non invadono la vita dell'uomo al punto di diventare la cosa più importante della vita, prendendo il posto che spetta a Dio solamente. Questo esempio vale naturalmente anche per la musica, la televisione, il denaro, il cibo, e ogni altra cosa. Queste cose non contengono un male in sé ma è il valore che gli dà a volte l'uomo che le rende idoli. Anche l'amore per la propria fidanzata o moglie se ha la priorità nella propria vita al punto di causare una trascuratezza verso Dio, nel servirLo, adorarLo ed amarLo, diventa idolatria (vedi le parole di Gesù in Matteo 10:37).
Quindi stiamo attenti a non cadere nell'idolatria, non pensando che essa sia necessariamente il genuflettersi davanti a una statua o il rivolgersi a pratiche occulte o esoteriche, ma dando il giusto valore ad ogni cosa e soprattutto mettendo al primo posto nelle priorità del nostro cuore e della nostra vita di tutti i giorni Gesù Cristo, il nostro Signore e Salvatore.

Il grano e la zizzania - Mt 13,24-43


 

1.   Perché c’è il maleUn uomo scopre che, mentre era al lavoro e sua moglie era in ospedale, sua figlia s’è portato in casa il fidanzato e gli si è offerta sul talamo paterno. Un altro scopre che suo fratello, con il quale aveva fondato una cooperativa, gli ha rubato per anni la metà dei profitti comuni. Un altro s’accorge che un prete, a cui confidava tutto di sé, è persona poco affidabile. Di episodi di questo genere è piena la memoria di ogni essere umano.
Perché questo accade? E come ci si deve comportare in situazioni simili? Sono le antiche domande, che attraversano le letterature civili e religiose, antiche e moderne, e le cronache di ogni giorno. La prima risposta è di ordine intellettuale: potrebbe non interessare qualcuno. La seconda è di ordine pratico: interessa tutti certamente.
Alla prima domanda Gesù risponde: “Un nemico ha fatto questo” (v. 28). Poi spiega che questo nemico è «il diavolo». Quindi, non è sufficiente dire che il male umano dipende dal DNA, dai cromosomi di ogni individuo, dalle condizioni sociali in cui vive, da una cattiva educazione ricevuta in famiglia, da cattivi compagni di vita. Queste spiegazioni sono interessanti, ma non fanno luce completa sul problema. Soprattutto non chiariscono perché un uomo, onesto per tutta la vita, alla fine si lasci travolgere dal male, e perché un peccatore incallito all’improvviso decida di fare la strada inversa.

2.  Come comportarsi Alla seconda domanda: «Come bisogna comportarsi in casi di questo genere?», Gesù risponde che non bisogna lasciarsi travolgere dal desiderio di estirpare subito il male. Nell’estirpare la zizzania, può essere danneggiato il grano, dice Gesù nella parabola (v. 29); e, in quanto all’uomo, non sa con certezza che cosa sia il grano e che cosa sia la zizzania. Non si può, per tornare ad uno dei due esempi dati all’inizio, cacciare di casa la figlia che ha profanato il talamo dei suoi genitori.
In quanto poi ai doveri dell’autorità sia civile che religiosa, si deve qui osservare che la parabola, come ogni parabola, ha un suo limite: non intende insegnare che le autorità civili o religiose debbano tollerare il male fino alla fine del mondo. In una parabola non può esserci tutto il Vangelo[2]. Una norma di logica e di sana interpretazione biblica stabilisce che i brani della Scrittura siano correlati tra loro, in modo che un brano illumini e chiarisca l’altro.
Il limite della parabola è evidente anche quando ci si interroga sul comportamento dei cristiani di fronte alle ingiustizie perpetrate dai violenti contro i deboli. Quel Dio che, come si legge nella Bibbia, abbatte i violenti ed è solidale con i poveri della terra, non può tollerare il silenzio e l’inerzia di coloro che Egli ha chiamato per costruire sulla terra il suo regno.

3. Cosa c’è in me?Tornando ancora sulla domanda: «Come bisogna comportarsi di fronte al male?», e riducendola a un quesito strettamente personale, chiediamoci: «Come devo comportarmi con me stesso? Cosa c’è nel mio cuore? Grano o zizzania, e in che misura?».
Quando nel meditare riflettiamo su questa domanda, di solito confessiamo: «In me c’è più zizzania che grano», e ci sembra di essere impresentabili agli occhi di Dio. Da questa desolazione dello spirito nasce buona parte della nostra inerzia religiosa. Dovremmo smetterla di impantanarci nel pessimismo.
La storia è, nel suo complesso, una nube scura. Può darsi che lo sia anche la nostra vita. Ma questa nube scura è attraversata, come da un raggio di sole, dallo sguardo di Dio. Dio guarda al nostro buon grano, anche se non fosse molto e non fosse un grano di qualità. È un Dio di infinito amore e perciò di infinita pazienza. Se lo crederemo veramente, saremo in grado di aprirci anche noi a un’infinita pazienza verso gli altri e di diventare, nei loro riguardi, dei ponti di trasmissione di quella luce che viene solo da Dio.

Se la fede è malfondata - Mt 7,21-27


1. Case da rifondareNon è necessario un grande uragano per spazzare via una casa costruita su fondamenta fragili. A volte la casa viene giù per la fatiscenza dei materiali con cui costruita. Nel mondo tutto si usura con il passare del tempo, anche le religioni, e spesso è necessario rifondarle per dar loro una nuova vita.
La parola «rifondazione», utilizzata in architettura e in politica, può essere usata anche in religione. In accentuate situazioni di decadenza o in mutate situazioni storiche, i capi religiosi si riuniscono in concilî, sinodi, assemblee, non per cambiare (spesso anche per cambiare), ma per formulare in modo nuovo le antiche verità che sono alla base della loro fede.
Mt 7 sembra suggerire una tale necessità anche riguardo alla Chiesa, là dove si legge: “In quel tempo molti mi diranno: Signore, Signore [2], non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò: Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità” [3] (vv. 22-23).

2. Il lamento di GesùIn questo lamento Gesù dice ai suoi discepoli che, pur profetando, cacciando demoni e facendo prodigi, si sono allontanati dallo spirito del suo Vangelo, e perciò dichiara di «non riconoscerli» come suoi discepoli, perché sono diventati «operatori di iniquità»: li rimprovera, cioè, di essersi allontanati dalla «via della giustizia» divina, che è quella dell’amore (cfr. Mt 25).
È appunto questa la causa del rimprovero: hanno ridotto la religione a una questione di devozioni personali, in cui stanno in primo piano i fenomeni del prodigioso (oggi si direbbe del paranormale). A costoro Gesù dichiara che queste loro opere non sono quelle da lui richieste per realizzare il nuovo corso religioso da lui annunciato nel suo Vangelo.
Le devozioni e la pietà popolare, che tendono all’intimistico e al prodigioso, non sono per sé un male, ma lo diventano quando sostituiscono del tutto l’unico programma religiosamente valido, quello meditato nel vangelo di domenica scorsa con queste parole di Gesù: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia”. Tutto il resto viene dopo (Mt 6,13), molto dopo.

3. Un pendaglio sulla fronte
Per capire perfettamente il senso del rimprovero rivolto da Gesù ai suoi discepoli è necessario collegare questo brano al brano finale del vangelo secondo Matteo, quello che precede il racconto della passione di Gesù. Nel Vangelo tutto tiene, ed ogni parola di Gesù è coordinata alle altre. Nel cap. 25 di Matteo, quello del giudizio finale, Gesù condanna i suoi discepoli che non lo avranno accolto, sfamato, vestito, aiutato, nella persona dei poveri.
È questo il primo punto del programma di Gesù. Poi vengono i riti, le devozioni, le opere monumentali della teologia, della mistica, dell’arte, della pastorale e del diritto, che hanno gratificato anche umanamente la vita dei suoi discepoli ed hanno contrassegnato la storia dell’Oriente e dell’Occidente.
In Dt 11 Mosè, presentando agli israeliti il Decalogo, dice: “Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole, ve le legherete alla mano come un segno, e le avrete come un pendaglio tra gli occhi” (v. 18). L’insegnamento vale anche per i cristiani. Se il Vangelo di Gesù non diventerà per loro una visione di vita e un programma operativo, poco conterà per loro l’essere stati i costruttori della storia d’Europa e magari di tutto il mondo. Questo non basterà a salvarli dal giudizio divino su di loro e sulla loro Chiesa.

La luce del mondo e il sale della terra


 

1.  Una dichiarazione che meravigliaSe qualcuno ci dicesse: «Tu sei la luce della mia mente» oppure: «Tu sei la sapienza della mia vita», è quasi certo che spalancheremmo gli occhi per la meraviglia e penseremmo: «Costui vuol prendermi in giro», oppure: «Non mi conosce bene, e sta prendendo su di me un grosso abbaglio».
Ebbene, Gesù disse proprio questo ai suoi discepoli, come si legge nel vangelo di Matteo, in cui queste parole di Gesù sono collocate subito dopo il discorso della montagna o delle beatitudini e ne sono come una logica conclusione.
È ragionevole, quindi, pensare che i suoi apostoli, a cui Gesù aveva rimproverato la poca fede (Mc 4,40; Mt 8,25) e il loro limite conoscitivo (Mt 15,16), si saranno meravigliati nel sentirsi rivolgere quelle parole e gli avranno chiesto: «È sufficiente credere in te ed accettare il tuo Vangelo per essere la luce del mondo e la sapienza della terra?».

2.  Nulla vi mancaQualcuno potrebbe affrettarsi a chiarire che Gesù non intendeva dire: «Siete…», ma «Siate la luce del mondo e il sale della terra». Ma non è così:  Gesù non ha risolto la questione ontologica in una questione etica. Non è passato dall’essere al dover essere. [1]
Per intendere bene questo brano, lo si potrebbe accostare a un altro brano del vangelo, in cui Gesù, durante l’ultima Cena, disse ai suoi apostoli: “Non voi avere scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,15), e subito dopo spiegò che questo frutto da dare al mondo è il frutto dell’amore. La testimonianza cristiana consiste appunto in questo. Tutti i biblisti spiegano che, nel riportare la frase di Gesù: «Io vi ho costituiti…», l’evangelista Giovanni usa il verbo greco «étheka», che era usato nel diritto greco per indicare un solenne atto legislativo, per cui una persona era costituita capace di possedere o di fare qualcosa in virtù di una delega ricevuta.
In base a questa esplorazione dei termini greci usati nel vangelo di Giovanni, possiamo comprendere che Gesù disse ai suoi apostoli: «Vi trasmetto il potere, che è mio. quello di essere luce e sapienza del mondo». In virtù di questo potere, avete tutto ciò che vi serve per esercitare questa facoltà. Sono quindi ingiustificati i vostri timori, in base ai quali potreste fare macchina indietro rispetto alla decisione presa di seguirmi».

3.  Il sale dell’alleanzaUn’ultima riflessione sul sale, che per ragioni di igiene è stato eliminato dal rito del santo Battesimo. Il sale ha una forza simbolica enorme: significa sapore, sapere, sapienza, e nelle antiche culture era anche un simbolo di alleanze contratte o da contrarre.
Il sale era offerto, come simbolo di amicizia, al forestiero che entrava in casa o nel villaggio, e i capi tribù, nel contrarre un’alleanza tra i loro popoli, si scambiavano pane e sale e ne gustavano. Perciò si legge nella Bibbia che «il sale è il simbolo dell’alleanza» tra Dio e il suo popolo (Lv 2,13). È all’interno di questa storia di antichi simboli di alleanza che Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra».
Nonostante la loro pochezza umana, Dio ha inserito i suoi discepoli all’interno di una grande Alleanza, che ha una portata enorme per la storia religiosa del mondo. La nostra dignità umana e cristiana consiste in questo. Non ce n’è una più grande. Sarebbe per gli esseri umani davvero insipiente non valutare in questi termini la propria grandezza, e rincorrerne altre.

1.  Una dichiarazione che meravigliaSe qualcuno ci dicesse: «Tu sei la luce della mia mente» oppure: «Tu sei la sapienza della mia vita», è quasi certo che spalancheremmo gli occhi per la meraviglia e penseremmo: «Costui vuol prendermi in giro», oppure: «Non mi conosce bene, e sta prendendo su di me un grosso abbaglio».
Ebbene, Gesù disse proprio questo ai suoi discepoli, come si legge nel vangelo di Matteo, in cui queste parole di Gesù sono collocate subito dopo il discorso della montagna o delle beatitudini e ne sono come una logica conclusione.
È ragionevole, quindi, pensare che i suoi apostoli, a cui Gesù aveva rimproverato la poca fede (Mc 4,40; Mt 8,25) e il loro limite conoscitivo (Mt 15,16), si saranno meravigliati nel sentirsi rivolgere quelle parole e gli avranno chiesto: «È sufficiente credere in te ed accettare il tuo Vangelo per essere la luce del mondo e la sapienza della terra?».

2.  Nulla vi mancaQualcuno potrebbe affrettarsi a chiarire che Gesù non intendeva dire: «Siete…», ma «Siate la luce del mondo e il sale della terra». Ma non è così:  Gesù non ha risolto la questione ontologica in una questione etica. Non è passato dall’essere al dover essere. [1]
Per intendere bene questo brano, lo si potrebbe accostare a un altro brano del vangelo, in cui Gesù, durante l’ultima Cena, disse ai suoi apostoli: “Non voi avere scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,15), e subito dopo spiegò che questo frutto da dare al mondo è il frutto dell’amore. La testimonianza cristiana consiste appunto in questo. Tutti i biblisti spiegano che, nel riportare la frase di Gesù: «Io vi ho costituiti…», l’evangelista Giovanni usa il verbo greco «étheka», che era usato nel diritto greco per indicare un solenne atto legislativo, per cui una persona era costituita capace di possedere o di fare qualcosa in virtù di una delega ricevuta.
In base a questa esplorazione dei termini greci usati nel vangelo di Giovanni, possiamo comprendere che Gesù disse ai suoi apostoli: «Vi trasmetto il potere, che è mio. quello di essere luce e sapienza del mondo». In virtù di questo potere, avete tutto ciò che vi serve per esercitare questa facoltà. Sono quindi ingiustificati i vostri timori, in base ai quali potreste fare macchina indietro rispetto alla decisione presa di seguirmi».

3.  Il sale dell’alleanzaUn’ultima riflessione sul sale, che per ragioni di igiene è stato eliminato dal rito del santo Battesimo. Il sale ha una forza simbolica enorme: significa sapore, sapere, sapienza, e nelle antiche culture era anche un simbolo di alleanze contratte o da contrarre.
Il sale era offerto, come simbolo di amicizia, al forestiero che entrava in casa o nel villaggio, e i capi tribù, nel contrarre un’alleanza tra i loro popoli, si scambiavano pane e sale e ne gustavano. Perciò si legge nella Bibbia che «il sale è il simbolo dell’alleanza» tra Dio e il suo popolo (Lv 2,13). È all’interno di questa storia di antichi simboli di alleanza che Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra».
Nonostante la loro pochezza umana, Dio ha inserito i suoi discepoli all’interno di una grande Alleanza, che ha una portata enorme per la storia religiosa del mondo. La nostra dignità umana e cristiana consiste in questo. Non ce n’è una più grande. Sarebbe per gli esseri umani davvero insipiente non valutare in questi termini la propria grandezza, e rincorrerne altre.

Cristiani, non temete!


l.  La paura dei cristianiLa paura, di cui si parla in Mt 10,26-33 non è la paura naturale che ogni uomo avverte di fronte agli avvenimenti imprevisti della sua vita, che sono tanti e diversi, e su cui prevalgono il timore per la propria sicurezza e dei propri cari, quello di non farcela nella sofferenza, e soprattutto quello della morte.
La paura, di cui qui si parla, è quella che accompagna i cristiani nel corso della loro missione evangelizzatrice. Ha dei tratti in comune con le altre paure, ma ha in più la convinzione che, trattandosi di un invito rivolto agli uomini per un radicale cambiamento della loro vita, la missione del Vangelo non potrà essere accolta tranquillamente da chiunque.
Non è una paura irragionevole. È fondata su un’esperienza storica, che parte dalla pessima accoglienza che gli uomini riservarono a Gesù e agli apostoli, e che è continuata attraverso i secoli fino ad oggi. In termini contabili, si tratta di un’esperienza calcolata in oltre cinquanta milioni di morti.[2] E il calcolo dei morti non è tutto.

2.  Paura per la vitaPer entrare nello spirito delle ammonizioni di Gesù a non aver paura, bisogna tener presente che nel tempo in cui furono scritte le versioni evangeliche, era iniziata la lenta espansione cristiana nell’impero romano, a cui corrispondeva, con fiammate improvvise e non sempre brevi, la persecuzione di chi cercava di ostacolarla con metodi sbrigativi.
In questo contesto sono comprensibili l’ammonizione di Gesù (probabilmente figlia dell’intervento dei redattori evangelici della seconda metà del I secolo d.C.), rivolta ai suoi discepoli: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima" (v. 28) e l’assicurazione che quel Dio, che s’interessa anche delle creature più piccole dell’universo, non può abbandonare i discepoli di Gesù nel momento in cui devono testimoniare la loro fede di fronte al mondo (vv. 29-31).
Chi, nel leggere o nell’ascoltare queste parole di Gesù, pensa che oggi i tempi sono cambiati, e che i cristiani non hanno più da temere per la loro vita, s’inganna. Crede che tutto il mondo sia fatto ad immagine e somiglianza del suo Paese, dove vigono per legge il rispetto di ogni persona e la libera professione di ogni fede religiosa. Ma non è così. Un solo esempio: tra il 1990 e il 2002 un terzo degli abitanti dell'isola di Timor Est, in Asia, ha perduto la vita, nel tentativo di separarsi dall’Indonesia, governata secondo la sharìa islamica.

3.  Paure spiritualiAnche i cristiani che vivono in Paesi dove l’ordine è assicurato per legge, non sono esenti da paure, sebbene di ordine essenzialmente spirituali. Si tratta di sentimenti di inquietudine di fronte a varie manifestazioni, in cui esplode un livore anticristiano che normalmente è mascherato da relazioni rispettose verso i cristiani e le loro istituzioni religiose.
In una situazione di questo genere, i cristiani sono tentati di chiudersi in se stessi, di accettare passivamente l’emarginazione culturale e sociale in cui vengono progressivamente ridotti, e di non annunciare più il Vangelo «sulle terrazze», cioè in campo aperto, come insegnava Gesù (v. 27), ma solo nel chiuso delle loro chiese e nell’ambito di piccoli gruppi, per non dare fastidio a qualcuno.
No! Se di fastidio si deve parlare, è quello che prova ogni persona sensata, che vive in un sistema politico liberale, in cui c’è chi scrive con serietà o racconta con allegria che sta lavorando per una società nuova, che sia liberata dai tabù morali e religiosi. Questo oggi fa paura ai cristiani. Non per sé (la Chiesa ha attraversato tempi più bui), ma per il futuro del mondo.

VERSO DEL 27.03.2014

«La notte viene in cui nessuno può operare»

Giovanni 9:4

Lettura biblica: Giovanni 9:1-12

Mentre Gesù camminava con i Suoi discepoli lungo le vie di Gerusalemme, vide un mendicante cieco fin dalla nascita.

Come accade anche a molti credenti, quando si trovano di fronte all'amara realtà della vita, i discepoli furono subito spinti a chiedersi il perché della misera condizione di quell'uomo.

Invece di mostrare compassione per quel cieco, essi rivolsero domande al loro Maestro, quasi con il tono di chi è convinto di poter affrontare una profonda dissertazione teologica: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?».
 
Gesù tuttavia evitò ogni tipo di discussione dottrinale, e ciò per una ragione molto semplice: una trattazione, anche assai profonda dell'argomento, non sarebbe stata di nessuna utilità sia per il cieco che per i discepoli!

É molto più importante rimuovere o alleviare il male piuttosto che discutere sulle sue possibili origini!

Il mondo è pieno di "consolatori di Giobbe", vale a dire di perso­ne interessate solo a scoprire quale peccato sia la causa di questa o quella situazione critica che affligge qualcuno.

É molto meglio che le sofferenze altrui facciano appello a ciò che vi è di meglio nel cuore  del credente: simpatia, abnegazione, bontà, sopportazione, amore cristiano.

Molti sono coloro i quali, invece di diffondere l'Evangelo, ossia la buona notizia che Cristo è venuto a salvare, liberare e guarire, si preoccupano esclusivamente di "alta teologia".

Bisogna riconoscere che vi sono tante opere che debbono e possono essere compiute unicamente nel tempo propizio: «...mentre è ancora giorno»; diversamente, molte occasioni di servizio cristiano saranno irrimediabilmente perdute per sempre!

Dunque, ammaestriamo i fanciulli mentre sono ancora tali, cer­chiamo di manifestare l'amore cristiano a coloro che ci circondano mentre sono ancora insieme a noi, doniamo a Dio e alla Sua causa tutte le nostre risorse e le nostre energie mentre ancora ne possiamo disporre: «la notte viene in cui nessuno può operare!»

Stiamo camminando vigili ed attenti come "di giorno"?

Meditazione del giorno 27/03/2014

Giovedì della III settimana di Quaresima
Meditazione del giorno
San Giovanni Eudes (1601-1680), sacerdote, predicatore, fondatore di istituti religiosi
Il Regno di Gesù, 3, 4
“E’ dunque giunto a voi il regno di Dio”
 
    Dobbiamo continuare e compiere in noi i misteri di Gesù e pregarlo spesso che li porti a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. Poiché essi non sono ancora compiuti nella loro piena perfezione. Se sono perfetti e compiuti nella persona di Gesù, non sono tuttavia ancora compiuti e perfetti in noi, sue membra, né nella Chiesa che è il suo corpo mistico (Ef 5,30). Poiché il Figlio di Dio ha disposto… di fare come un’estensione e continuazione dei suoi misteri in noi e in tutta la sua Chiesa… ; li vuole portare a compimento in noi. Perciò San Paolo dice che Gesù Cristo  si completa nella Chiesa e che tutti noi contribuiamo alla sua perfezione e alla sua piena maturità (Ef 4,13)… E altrove dice che completa nel suo corpo la Passione di Gesù Cristo (Col 1,24)…

    Il Figlio di Dio ha pensato di vivere in noi il mistero della sua incarnazione, della sua nascita, della vita nascosta, prendendo forma in noi, nascendo nelle nostre anime, con i santi sacramenti del battesimo e della divina eucaristia, e facendoci vivere una vita spirituale e interiore, nascosta con lui in Dio. Ha progettato di perfezionare in noi il mistero della sua Passione, morte e risurrezione, facendoci soffrire, morire e risorgere con lui e in lui. Ha pensato di parteciparci lo stato di vita gloriosa e immortale che lui ha in cielo, facendoci vivere con lui e in lui una vita gloriosa e immortale, quando saremo in cielo.

    Così i misteri di Gesù non saranno pienamente compiuti fino alla fine del tempo che egli ha stabilito per il completamento di essi stessi in noi e nella Chiesa, cioè fino alla fine del mondo.

La parola del giorno 27/03/2014


Giovedì della III settimana di Quaresima

Libro di Geremia 7,23-28.
Così dice il Signore: « Questo comandai loro: Ascoltate la mia voce! Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; e camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici.
Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio; anzi procedettero secondo l'ostinazione del loro cuore malvagio e invece di voltarmi la faccia mi han voltato le spalle,
da quando i loro padri uscirono dal paese d'Egitto fino ad oggi. Io inviai a voi tutti i miei servitori, i profeti, con premura e sempre;
eppure essi non li ascoltarono e non prestarono orecchio. Resero dura la loro nuca, divennero peggiori dei loro padri.
Tu dirai loro tutte queste cose, ma essi non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno.
Allora dirai loro: Questo è il popolo che non ascolta la voce del Signore suo Dio né accetta la correzione. La fedeltà è sparita, è stata bandita dalla loro bocca. »


Salmi 95(94),1-2.6-7.8-9.
Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Venite, prostràti adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.
Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Ascoltate oggi la sua voce:
"Non indurite il cuore, come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere."



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 11,14-23.
In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate.
Ma alcuni dissero: «E' in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni».
Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo i loro pensieri, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra.
Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl.
Ma se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano? Perciò essi stessi saranno i vostri giudici.
Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro.
Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino.
Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde.

Vangelo secondo Luca


Capitolo 15

Le tre parabole della misericordia

[1]Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. [2]I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». [3]Allora egli disse loro questa parabola:

La pecora perduta

[4]«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? [5]Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, [6]va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. [7]Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

La dramma perduta

[8]O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? [9]E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. [10]Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Il figlio perduto e il figlio fedele: "il figlio prodigo"

[11]Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. [12]Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. [13]Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. [14]Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. [15]Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. [16]Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. [17]Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! [18]Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; [19]non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. [20]Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. [21]Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. [22]Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. [23]Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, [24]perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
[25]Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; [26]chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. [27]Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. [28]Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. [29]Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. [30]Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. [31]Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; [32]ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

SALMO 59


 


1 Al maestro del coro. Su «Non distruggere». Di Davide. Miktam. Quando Saul mandò uomini a sorvegliare la casa e a ucciderlo.
2 Liberami dai nemici, mio Dio,
difendimi dai miei aggressori.
3 Liberami da chi fa il male,
salvami da chi sparge sangue.
4 Ecco, insidiano la mia vita,
contro di me congiurano i potenti.
Non c’è delitto in me, non c’è peccato, Signore;
5 senza mia colpa accorrono e si schierano.
Svégliati, vienimi incontro e guarda.
6 Tu, Signore, Dio degli eserciti, Dio d’Israele,
àlzati a punire tutte le genti;
non avere pietà dei perfidi traditori.
7 Ritornano a sera e ringhiano come cani,
si aggirano per la città.
8 Eccoli, la bava alla bocca;
le loro labbra sono spade.
Dicono: «Chi ci ascolta?».
9 Ma tu, Signore, ridi di loro,
ti fai beffe di tutte le genti.
10 Io veglio per te, mia forza,
perché Dio è la mia difesa.
11 Il mio Dio mi preceda con il suo amore;
Dio mi farà guardare dall’alto i miei nemici.
12 Non ucciderli, perché il mio popolo non dimentichi;
disperdili con la tua potenza e abbattili,
Signore, nostro scudo.
13 Peccato della loro bocca è la parola delle loro labbra;
essi cadono nel laccio del loro orgoglio,
per le bestemmie e le menzogne che pronunciano.
14 Annientali con furore,
annientali e più non esistano,
e sappiano che Dio governa in Giacobbe,
sino ai confini della terra.
15 Ritornano a sera e ringhiano come cani,
si aggirano per la città;
16 ecco, vagano in cerca di cibo,
ringhiano se non possono saziarsi.
17 Ma io canterò la tua forza,
esalterò la tua fedeltà al mattino,
perché sei stato mia difesa,
mio rifugio nel giorno della mia angoscia.
18 O mia forza, a te voglio cantare,
poiché tu sei, o Dio, la mia difesa,
Dio della mia fedeltà.

La frase del giorno 27 Marzo

Quando hai amore nel
cuore, vedi bellezza in
ogni cosa.