venerdì 27 dicembre 2013

Miracoli eucaristici



Il Miracolo Eucaristico di Lanciano
(750 - Chiesa di San Francesco)

Siamo nel 750 circa, un monaco basiliano dubitava se nell'Ostia consacrata vi fosse il vero corpo di Cristo e se nel vino vi fosse il suo vero Sangue. Tuttavia, non avendo abbandonato la buona abitudine di pregare, chiedeva costantemente a Dio di eliminare quella piaga che gli avvelenava l'anima. Quindi, una matti­na, mentre stava celebrando la Santa Messa, ancora immer­so nel suo errore vide il pane trasformato in Carne e il vino in Sangue. Atterrito e confuso, dopo esser rimasto per un lungo tempo come rapito in estasi, con viso felice, seppure bagnato di lacrime, chiamando i presenti a vedere, disse: "Per confondere la mia incredulità, benedetto Dio ha voluto svelarsi in questo Santissimo Sacramento e rendersi visibile ai vostri occhi". Il miracolo è ancora visibile.

Il miracolo Eucaristico di Trani
(1000 - Duomo)

Nel 1000 circa, una donna ebrea, mescolatasi ai fedeli che assistevano alla Santa Messa in Duomo, ricevuta l'Ostia, anziché consumarla la portò a casa per schernire la fede dei cristiani nell'Eucaristia. Messa una padella con dell'olio sul fuoco, non appena questo cominciò a friggere, la donna vi immerse l'Ostia. A contatto con l'olio, improvvisamente, la particola si trasfor­mò in Carne da cui usciva sangue che non si rapprese subi­to. Presa da terrore, la donna, prima cercò di nascondere il fatto, poi, vinta dal rimorso, si mise a piangere. Alle sua urla accorse una gran folla. Del fatto prodigioso fu avvisato anche il Vescovo, che fece portare processionalmente i resti del Miracolo in Duomo, dove è ancora visibile.

Il miracolo cucaristico di Ferrara
(28 marzo 1171, Basilica di Santa Maria in Vado)

Avvenne il 28 marzo 1171, giorno di Pasqua, durante la Santa Messa celebrata da Padre Pietro da Verona; prima della comunione, nello spezzare l'Ostia, da questa sprizzò un fiotto di sangue che andò ad aspergere la volticina bassa sopra l'altare, che è ancora visibilmente sporca di sangue.

Il Miracolo Eucaristico di Alatri
(1228, Cattedrale San Paolo Apostolo)

Il fatto prodigioso si data fra la fine del 1227 e il 1228, una ragazza, poco più che adole­scente, addolorata per un amore non più cor­risposto, si rivolse ad una maga. Questa le promise che avrebbe riavuto l'amato se aves­se preso un'Ostia consacrata con cui lei avrebbe creato un filtro miracoloso. Una mattina, durante la Santa Messa, ricevuta l'Ostia anziché consumarla la portò a casa e la ripose in una credenza, non avendo il coraggio di portarla dalla maga. Presa dal dubbio se farlo o meno, dopo qualche giorno, riaprì il mobile: l'Ostia si era trasformata in Carne viva. I resti del miracolo sono ancora visibili.

I miracoli eucaristici di Firenze
(30 dicembre 1230 e 24 marzo 1595, Chiesa di Sant 'Ambrogio):

Il mattino del 30 dicembre 1230, un prete di nome Uguccione lasciò, dopo la comunione, non si sa bene per quale motivo, alcune gocce di Vino consacrato nel Calice. Prendendo in mano, lo stesso calice il giorno dopo, al posto del vino vi trovò Sangue vivo rappreso.
Il 24 marzo 1595, Venerdì Santo, durante la celebrazione scoppiò un incendio nella Chiesa di Sant'Ambrogio, tutti si dettero da fare per salvare il Santissimo Sacramento, ma nella confusione la Pisside contenente le Ostie conservate per le comunioni degli infermi cadde a terra e ne uscirono sei particole che rotolarono nel fuoco. Spento l'incendio, si ritrovarono le sei particole completamente intatte, che sono ancora visibili.

Il miracolo eucaristico di Bolsena
(1263, Duomo di Orvieto):

Siamo nel 1263, un monaco alemanno dubi­tava se l'Ostia consacrata fosse il vero Corpo di Cristo e se il vino fosse il vero Sangue. Tuttavia, chiedeva costantemente a Dio di eliminare dall'anima quel dubbio. Un giorno, mentre celebrava la Santa Messa nel Castello di Bolsena, diocesi di Orvieto, tenendo l'Ostia sopra il calice, all'improvviso, la vide trasformarsi in vera Carne, aspersa a tal punto di Sangue (eccetto alcune parti­celle sotto le sue dita) da macchiare una benda che serviva per pulire il calice. Il sacerdote, stupito, cercava di coprire il prodigio sotto il corporale, ma le gocce di Sangue che continuavano a sgorgare bagnavano il sacro corporale con macchie a forma di uomo, ancora oggi custodito in un bellissimo reliquiaria, visibile nel Duomo di Orvieto.

Il miracolo eucaristico di Offida.
(1273, Santuario di Sant’Agostino)

Siamo nel 1273, una donna su invito di una maga a cui si era rivolta per farsi benvolere dal marito getta un Ostia consacrata sul fuoco, la particola rimasta solo in piccola parte pane si trasformò in carne, da cui sgor­gò Sangue abbondante; l'Ostia, il coppo, che conteneva il fuoco e la tovaglia insanguinati sono ancora visibili nel santuario di Sant'Agostino.

Il miracolo eucaristico di Valvasone
(1294, Chiesa del Sacratissimo Corpo di Cristo):

Mentre un mattino del 1294 una donna stava lavando delle tovaglie della chiesa, improv­visamente, vide quella che stava strofinan­do, tingersi di Sangue. Smise di strofinare e si rese conto che il Sangue usciva da una partcola consacrata che era rimasta prigioniera tra le pieghe della tovaglia. La tovaglia macchiata di Sangue si conserva ancora nella Chiesa del Sacratissimo Corpo di Cristo.

Il Miracolo Eucaristico di Cascia
(1330, Basilica Santa Rita da Cascia)

Un sacerdote, al quale era stato chiesto di amministrare i Santi Sacramenti ad un conta­dino infermo, prese dal tabernacolo una particola consacrata e la depose tra le pagine del Breviario. Al momento di dare la Comunione all'infermo si accorse che l'Ostia rosseggia­va di sangue vivo tanto da impregnare le due pagine del Breviario tra le quali si trovava. La pagina sulla quale era rimasta aderente la particola e che presenta una maggiore quantità di sangue dell'altra (anche se i segni dell'Ostia sono perfettamente combacianti con l'altra pagina), fu donata al convento di sant'Agostino di Cascia, mentre l'altra pagina si conserva a Perugia. Attualmente il miracolo eucaristico è venerato nella Basilica di Santa Rita.

Il Miracolo Eucaristico di Macerata
(1356, Chiesa Cattedrale)

Come a Lanciano e a Bolsena tra le mani di un prete dubbioso che celebrava la Santa Messa, al momento della frazione del pane, dall'Ostia cominciò a sgorgare Sangue vivo che per il tremore del celebrante cadde in parte nel calice, in parte sul lino sottostante, ancora visibile nella cattedrale di Macerata.

Il Miracolo Eucaristico di Bagno di Romagna
(1412, Basilica Santa Maria Assunta)

Siamo nel 1412, quando un giorno, mentre Don Lazzaro celebra la Santa Messa, preso dal dubbio intorno alla reale presenza di Cristo nell'Eucaristia, vide il calice andare in ebollizione e spandersi Sangue vivo e palpitante fuori dal calice, al punto da inzuppare il suo corporale.

Il Miracolo Eucaristico di Torino
(6 giugno 1453, Basilica Corpus Domini)

Durante una della tante guerre che in quegli anni insanguinavano l'Italia, era stato sot­tratto l'Ostensorio con l'Ostia consacrata ad una chiesa parrocchiale e messo in un sacco. Il 6 giugno 1453 il ladro entrò a Torino in groppa ad un giumento che inciampò e cadde a terra facendo uscire dal sacco tutto ciò che l'uomo aveva rubato: improvvisamente l'Ostensorio si animò e si librò in cielo avvolto da un alone di luce che gli faceva da corona. La basilica del Corpus Domini fu costruita nel punto preciso in cui avvenne il miracolo, come ricordo perenne.

Il Miracolo Eucaristico di Asti
(25 luglio 1535, Chiesa San Secondo)

Il mattino del 25 luglio 1535, durante la Messa celebrata nella chiesa di San Secondo al momento della frazione del pane dalla due parti dell'Ostia consacrata usciro­no gocce di Sangue che caddero sul calice e sulla patena tingendo anche le dita del celebrante. A differenza degli altri miracoli, dopo alcuni minuti, il tutto scomparve e, oggi, non abbiamo alcun segno visibi­le del prodigio.

Il Miracolo Eucaristico di Morrovalle
17 aprile 1560, Chiesa Bartolomeo Apostolo

Come a Firenze nel 1595, il miracolo eucaristico di Morrovalle consiste nella perfetta conservazione di un’Ostia consacrata durante un incendio nella chiesa dove era conservata.

Il Miracolo Eucaristico di Veroli
(26 marzo 1570, Chiesa Sant’Erasmo)

Per un'antica tradizione la sera di Pasqua nella chiesa di S. Erasmo a Veroli si proce­deva alla solenne esposizione del Santissimo: diversamen­te da oggi, allora, il Santissimo esposto non era ben visibile; poiché veniva chiuso in una piccola teca d'argento e depo­sto dentro un calice o pisside o patena. Verso le due della notte i fedeli iniziarono ad avere visioni di stelle, bam­bini e ostie.

Il Miracolo Eucaristico di Siena
(14 agosto 1750, Chiesa San Francesco)

Il 14 agosto 1730, alcuni ladri rubarono dalla Chiesa Cattedrale di Siena tutte le par­ticole del Tabernacolo. Queste furono ritro­vate tutte perfettamente intatte nella cassetta delle offerte di un santuario vicino: Santa Maria in Provenzano, dopo averle ripulite dalla polvere e dalle ragnatele si notò che tutte le tre parti­cole si erano perfettamente mantenute nonostante fossero trascorsi alcuni giorni, ancora oggi le sacre ostie sono per­fettamente conservate e visibili.

Il Miracolo Eucaristico di Patierno
(27gennaio 1772, Chiesa di San Pietro)

Anche qui le ostie furono rubate dal Tabernacolo della Chiesa Parrocchiale di San Pietro e ritrovate perfettamente conservate. Purtroppo, però, a differenza di Siena, esse non sono più visibili perché hanno subito un nuovo e più recente scem­pio: sono state di nuovo sottratte nel 1978 e non più ritrovate.

Riprendendo le parole di Sant 'Agostino "chi vuol vivere, ha qui di che vivere" e come perfetta testimonianza e incarnazione di come l'Eucaristia sia presenza, rimedio e nutrimento concludiamo con alcuni cenni su chi visse d’Eucaristia. Tra i tanti santi e testimoni dell'Eucarestia ne sono stati scelti due: Alexandrina Maria da Costa e il Santo Curato d'Ars.

LA DOMENICA


 

di Don Pasquale Casillo

La domenica cristiana segna due doveri che sono tra i più necessari e cari a quanti vogliono vivere la Fede con continuo arricchimento spirituale e diffonderla con il proprio buon esempio.
Il primo dovere è quello di riunirsi in assemblea per ascoltare la Parola di Dio e partecipare all’Eucaristia. Viene assolto partecipando alla Messa intenzionalmente, attentamente, interamente e corporalmente.
Non viene quindi adempiuto da chi vi assiste contro la sua volontà o stando in chiesa solo per vedere e sentire; da chi durante la celebrazione del Santo Sacrificio dorme o gioca o conversa o studia o legge cose per nulla riferibili ad Esso; da chi tralascia volutamente la prima parte della Messa (Liturgia della Parola) o la seconda parte (dalla presentazione delle offerte alla benedizione finale); da chi dista dalla chiesa tanto da non poter seguire la Messa nemmeno confusamente o ascolta la Messa per radio o per televisione.
Partecipare alla Messa della domenica è obbligo personale di ogni cristiano dall’inizio dell’uso di ragione sino alla morte: anche il sacerdote che in questo giorno non celebra, è tenuto a prendervi parte. Il fare la Comunione e il possedere lo stato di Grazia non sono necessari, eccetto nel compiere il precetto pasquale, per essere osservanti di questo dovere, ma sono entrambi vivissimamente raccomandati per trarre da ogni celebrazione eucaristica il maggior frutto possibile. Lo sport, il turismo, le gite e ogni altra forma di divertimento devono essere armonizzati con questo primo dovere, il cui adempimento è richiesto dal terzo comandamento della legge di Dio e dal primo precetto generale della Chiesa.
Non assistere, potendo, alla Messa domenicale e festiva è certamente peccato grave perché è violazione di un ordine che è di diritto ecclesiastico e, ancor prima, di diritto divino rivelato e, più remotamente, di diritto naturale.
Se ne può essere scusati soltanto da gravi ragioni, cioè dall’impossibi-lità fisica o morale quale si verifica, per esempio, nei malati, nei carcerati, in quelli che temono di ricevere un notevole danno uscendo di casa; dalla carità verso il prossimo che esercitano, ad esempio, gli assistenti dei malati, i pompieri in occasione di incendio o di alluvione, coloro che hanno certezza di impedire un gran male restando in casa; dal particolare ufficio da svolgere: quello, per esempio, dei guardiani di greggi, dei soldati di sentinella, degli addetti alle ferrovie.
Queste cause scusano di più dove ci fosse una Messa sola; scusano di meno dove ci sono più Messe; non scusano per nulla, almeno da un certo momento, chi se ne facesse pretesto per una dispensa generale o di lunga durata: supposto che non si possa andar mai alla Messa della domenica, c’è l’obbligo di andare di tanto in tanto alla Messa di un giorno feriale.
Non scusa per niente neanche il dire che dalla Messa non si ricava nulla, o che essa non significa molto, o che non è l’unico segno di vita cristiana.
Il secondo dovere della domenica è l’astensione dal lavoro, cioè dall’occupazione professionale quotidiana, manuale o intellettuale, e da quella occupazione, anche non quotidiana, che per sua natura rende impossibile o molto impedito il compimento degli obblighi religiosi.
Tale astensione è voluta dalla Chiesa per consentire ai cristiani la possibilità di rendere a Dio nel suo giorno il culto dovutogli non solo attraverso la partecipazione alla Messa, ma anche mediante altre opere buone, che non sono comandate ma raccomandate, opere scelte tra quelle possibili alle circostanze della giornata e allo stato della persona, quali: leggere libri spirituali, visitare i malati e i carcerati, dire preghiere, fare pie conversazioni, intervenire alle funzioni sacre, dare elemosine: queste e simili opere sono più raccomandate a coloro che non possono andare a Messa.
Certamente, il solo partecipare alla Messa e astenersi dal lavoro non basta per santificare la domenica, che appartiene a Dio non solo nella mezz’ora dedicata alla Messa, ma per tutte le ventiquattro ore e gli appartiene «come una chiesa, come un calice consacrato» (Pio XII).
Chi lavora di domenica come se fosse un giorno feriale e trascurando deliberatamente l’obbligazione religiosa, pecca gravemente perché toglie a Dio il suo giorno commettendo così un furto, una profanazione, un atto di ingordigia dopo avere avuto a propria disposizione sei giorni della settimana. Pecca gravemente anche se la legislazione civile gli permette o gli comanda di lavorare. Di domenica, non è lecito lavorare nemmeno al solo scopo di evitare l’ozio.
Chi invece svolge un lavoro piuttosto lieve, non stancante, per un periodo breve e più per diletto che per necessità o guadagno non pecca, purché partecipi alla Messa, abbia tempo per dedicarsi a qualche buona azione e non provochi scandalo.
Lavori prolungati e pesanti, manuali o intellettuali, sono permessi a precise condizioni: quando interviene o la pietà verso Dio in quello che riguarda direttamente e immediatamente il culto, (adornare la chiesa, riparare i paramenti, cuocere le ostie); o la carità verso il prossimo in qualunque modo urgentemente bisognoso (neonati da curare, malati da servire, morti da seppellire); o la necessità grave propria o di altri (salvare il raccolto dei campi dal cattivo tempo imminente, riparare i veicoli in viaggio, far funzionare gli impianti tecnici dei servizi pubblici). Anzi, in occasione di terremoto, inondazioni, crolli, incendi e simili calamità, i lavori di soccorso e di salvataggio diventano addirittura obbligatori.
Questi due doveri -il primo più imperioso del secondo- imposti sotto pena di peccato grave non appaiano una prepotenza o un anacronismo o una stravaganza perché non lo sono affatto. Visti nel contesto teologico e storico della domenica, essi sono la naturale espressione di un meraviglioso quadro nel quale rientrano forti e teneri motivi: la necessità di tributare a Dio un culto pubblico, il sacerdozio battesimale dei fedeli, i diversi e profondi significati del giorno domenicale nel quale è avvenuta la Risurrezione di Gesù Cristo, il valore sublimante e unificante dell’Eucaristia, il bisogno di rendere visibili l’unità e l’unione della Chiesa, i circa due millenni nei quali i popoli cristiani del mondo hanno celebrato la domenica. «La Messa è in prima linea fatta per la domenica e la domenica ha il suo senso pieno attraverso la Messa» (Jungmann), e «il riposo è voluto da Dio anche più del lavoro: il lavoro è una condanna temporanea, il riposo è vocazione eterna». (De Luca).
Ancor di più, questi due doveri sono una conseguenza spontanea dello spirito dei cristiani, anzi degli uomini in genere: si può essere certi che essi, almeno i migliori tra essi, sarebbero arrivati a questi due doveri, tali e quali o assai simili, anche se non fossero stati prescritti da Dio e dalla Chiesa. Vi sarebbero arrivati anche per questa esperienza semplicemente umana e sempre controllabile: chi trova tempo per Dio, lo trova anche per sé stesso, per gli uomini e per le cose; chi ha lavorato di domenica, non si è mai arricchito in proporzione del lavoro fatto; chi si è astenuto dal lavoro domenicale, non si è mai impoverito, anzi talvolta si è arricchito.
Così vissuta, ossia cristianamente, la domenica non può non essere anche giorno « di gioia » -questa parola è del Concilio Ecumenico Vaticano II- perché nulla sazia l’anima quanto fare il bene per Dio, e niente ristora il corpo come un’anima infervorata. Gioia domenicale che anticamente tratteneva i cristiani dal fare la genuflessione in chiesa, e oggi riconduce in comunità quel camaldolese che ha scelto di restare « recluso » in solitaria cella dal lunedì al sabato.
Quanto si è detto della domenica è esteso alle feste dichiarate dalla Chiesa: alla Madre di Dio (1 gennaio), all’Assunta (15 agosto), a Tutti i Santi (1 novembre) all’Immacolata (8 dicembre), e al Natale (25 dicembre). È esteso anche alla sera del sabato e della vigilia delle suddette feste solo per quanto riguarda l’obbligo di partecipare alla Messa, cioè la Messa ascoltata il sabato sera vale per l’indomani e la Messa sentita la sera della vigilia di ciascuna di queste feste vale per il giorno della stessa festa.

Dopo la morte ci sarà un’altra vita?


 

di Padre Raimondo Marchioro
 
Per rispondere sperimentalmente a questa domanda bisognerebbe morire e poi risorgere, cioè ritornare in questa vita per riferire ciò che esiste nell’altra. Ora tutti gli uomini che sono morti, non sono più ritornati in questo mondo, eccetto uno, Gesù Cristo, che non è solo un uomo, ma è anche Dio e per questo meritano fiducia le sue affermazioni.
Gesù Cristo infatti è morto, è rimasto tre giorni nella tomba e poi è risorto.
Ebbene, che cosa ha detto Gesù Cristo circa la nostra sorte dopo la morte? Gesù Cristo ha affermato che dopo la morte ci sarà un’altra vita, che durerà per sempre. Non sappiamo come sarà questa vita, perché non ce l’ha riferito: ha detto solo questa vita sarà eternamente felice per i buoni (per coloro che muoiono in grazia di Dio), eternamente infelice per i cattivi (per coloro che muoiono in peccato mortale).
Ascoltiamo direttamente le parole di Gesù.
«In verità, in verità vi dico: “Chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato, ha la vita eterna, non va in giudizio, ma passa da morte a vita”» (Gv. 5, 24).
Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno» (Gv. 6, 51).
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv. 6, 54).
«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morto, vivrà; e chi vive e crede in me non morrà in eterno» (Gv. 11, 25-26).
«La volontà del Padre mio è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna; ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv. 6, 40).
«Quanto pio alla risurrezione dei morti, non aveva letto ciò che Dio disse? “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe?”. Non è il Dio dei morti, ma dei vivi…» (Mt. 22, 31-32).
«Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per gli angeli suoi.
…E costoro andranno all’eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna» (Mt. 25, 41, 46).
«Non vi meravigliate di questo, perché viene l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce, e quelli che hanno operato il bene ne usciranno per la risurrezione della vita; quelli, invece, che fecero il male, per la risurrezione della condanna» (Gv. 5, 28-29).
«Oggi sarai con me in Paradiso» (Lc. 23, 43).
Gli Apostoli e la Chiesa hanno sempre insegnato la dottrina di Gesù.
La morte consiste nella separazione dell’anima dal corpo, il quale, separato dall’anima, si dissolve nei suoi elementi; l’anima invece, separata dal corpo, continuerà a vivere in Paradiso o in Purgatorio o all’Inferno, secondo i meriti acquistati fino al momento della partenza da questo mondo.
Subito dopo la morte ci sarà il giudizio particolare, che è il rendiconto della propria vita, che ogni uomo deve dare a Dio, Signore e Giudice supremo, per riceverne, secondo i meriti, il premio o il castigo.
La morte corporale è conseguenza del peccato originale; è una legge universale a cui volle assoggettarsi anche Gesù.
La morte inoltre è il termine non solo della vita terrena (e l’inizio della futura), ma anche del tempo utile per meritare, per cui il giudizio particolare deciderà inesorabilmente della sorte dell’uomo per tutta l’eternità.
Alla fine dei secoli ci sarà la resurrezione dei corpi, i quali si uniranno alle relative anime, insieme, per sempre, o godranno il premio eterno o subiranno il castigo eterno.

La chiesa durerà fino alla fine dei tempi

di Francisco Fernàndez-Carvajal
 
Immediatamente dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, quando la moltitudine si fu saziata, Gesù la congedò e ordinò ai suoi discepoli che si imbarcassero. Era ormai sera avanzata.
Il Vangelo narra che gli apostoli si diressero verso l’altra riva, in direzione di Cafar­nao. Era già notte e Gesù non c’era. Dal Vangelo di Matteo sappiamo che si era accomiatato anche da loro e che era salito su un monte a pregare. Il mare era agitato perché soffiava un forte vento, e la barca veniva sbattuta con violenza dalle onde, poi­ché quel vento era contrario.
La Tradizione ha visto in questa barca l’immagi­ne della Chiesa nel mondo, scossa lungo i secoli dalla tempesta delle persecuzioni, delle eresie, delle infedeltà. «Quel vento», scrive San Tommaso, «è fi­gura delle tentazioni e delle persecuzioni, che la Chiesa subirà a causa delle mancanze d’amore. Per­ché, come dice Sant’Agostino, quando l’amore si raffredda aumentano le onde... Tuttavia il vento, la tempesta, le onde e le tenebre non riusciranno ad allontanare la nave dalla rotta e ad affondarla.
Fin dai primi tempi dovette affrontare persecuzioni di dentro e di fuori. Anche ai nostri giorni nostra Ma­dre la Chiesa, e con Lei i suoi figli, è squassata da tempeste. «Non è una novità. Da quando nostro Signore Gesù Cristo ha fondato la Santa Chiesa, questa nostra Madre ha patito una persecuzione costante. Forse in altre epoche le aggressioni erano organizzate apertamente; adesso in molti casi si tratta di una persecuzione silenziosa. Oggi, come ieri, si continua a combattere la Chiesa. Quando ascoltiamo parole di eresia, quando osserviamo che si attacca impunemente la santità del matrimo­nio e quella del sacerdozio; la Concezione Immaco­lata di nostra Madre, la Madonna, e la sua Verginità perpetua, con tutti gli altri privilegi e doni di cui Dio volle adornarla; il perenne miracolo della presenza reale di Cristo nella Santa Eucaristia; il Primato di Pietro, e perfino la Risurrezione di nostro Signore, come non sentire l’anima colma di tristezza? Ma abbiate fiducia: la Santa Chiesa è incorruttibile», diceva il Beato Escrivà in un’omelia sul fine soprannaturale della Chiesa.
Gli attacchi alla Chiesa ci addolorano, ma ci dà una grande pace e sicurezza sapere che Cristo stes­so è dentro la barca; vive per sempre nella Chiesa, e per questo le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa; durerà fino alla fine dei tempi. Tutto il resto, tutto ciò che è umano, passa, ma la Chiesa rimane sempre così come Cristo l’ha voluta. Il Si­gnore è presente, e la barca non affonderà, quan­tunque talvolta la si veda sbattuta di qua e di là. Questa protezione divina è fondamento della nostra Fede incrollabile: la Chiesa, di fronte alle situazioni contingenti, rimarrà fedele a Cristo sempre, in mez­zo a tutte le tempeste, e sarà il Sacramento universa­le di salvezza. La sua storia è un miracolo morale che continua e nel quale possiamo ravvivare sem­pre la nostra speranza.
Già all’epoca di Sant’Agostino i nemici della Chiesa dichiaravano: “La Chiesa sta per morire, i cristiani hanno fatto il loro tempo”. Al che il Vescovo di Ippona replicava: “Vedo ogni giorno morire qualcuno di voi, mentre la Chiesa sta sempre in piedi per manifestare la potenza di Dio a tutte le generazioni che si succedono”.
Che Fede fiacca la nostra se il dubbio si insinua proprio quando la tempesta si scatena maggiormente contro di essa, contro le sue istituzioni o contro il Romano Pontefice e i Vescovi! Non lasciamoci impressionare dalle circostanze avverse, perché perderemmo la serenità, la pace, la visione soprannaturale. Cristo è sempre vicino a noi e vuole che abbiamo fiducia. È accanto a ciascuno, e non dobbiamo temere nulla. Possiamo pregare di più per la sua Chiesa, essere più fedeli alla nostra vocazione, fare più apostolato tra i nostri amici, riparare.
L’indefettibilità della Chiesa significa che essa non sarà vinta, che ha carattere imperituro, cioè che durerà fino alla fine del mondo, e altresì che non subirà alcun cam­biamento sostanziale nella dottrina, nella costitu­zione o nel culto.
Il Concilio Vaticano I dice della Chiesa che essa “deve per volontà dello stesso Cristo durare per sempre”, e che, “fondata sulla Pietra, resterà incrol­labile fino alla fine dei secoli”.
La ragione della perennità della Chiesa sta nel suo essere intimamente unita a Cristo, che ne è Capo e Signore. Dopo essere salito al cielo inviò ai suoi lo Spirito Santo, lo Spirito di verità, perché dimorasse presso di loro e, quando li incaricò di predicare il Vangelo a tutte le genti, li rassicurò con la promessa che Egli sarebbe stato con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo.
La Chiesa dimostra la sua fortezza resistendo, serena e fiduciosa, a tutti gli attacchi delle persecu­zioni e delle eresie. Il Signore stesso veglia su Lei: «Sia quando illumina i suoi governanti e li corrobo­ra per sostenere fedelmente e fruttuosamente le mansioni proprie di ciascuno; sia quando (special­mente nelle circostanze più difficili) suscita dal grembo della Madre Chiesa uomini e donne che, spiccando col fulgore della santità, siano di esempio agli altri cristiani e di sviluppo del suo Corpo misti­co. Inoltre dal cielo Cristo guarda sempre con amo­re peculiare alla sua Sposa intemerata, che s’affati­ca in questa terra d’esilio; e quando la vede in peri­colo, la salva dai flutti della tempesta o per sé diret­tamente, o per mezzo dei suoi Angeli, o per opera di Colei che invochiamo Aiuto dei Cristiani ed anche degli altri celesti protettori; e, una volta calmatosi il mare, la consola con quella pace “che supera ogni senso” (Fil 4, 7)», diceva Pio XII. La Fede ci assicura che la stabili­tà della sua costituzione e della sua dottrina durerà sempre, finché Egli venga, afferma San Paolo.
«In certi ambienti, soprattutto della sfera intel­lettuale, si avverte e si tocca con mano una specie di consegna settaria, a volte eseguita persino da catto­lici che, ‑con cinica perseveranza‑ alimenta e propaga la calunnia, per gettare ombre sulla Chiesa o su persone e organismi, contro ogni verità e ogni logica. Prega, ogni giorno, con fede: “Ut inimicos Sanctae Ecclesiae ‑nemici perché tali essi si procla­mano‑ humiliare digneris, te rogamus audi nos!”. Confondi, o Signore, coloro che ti perseguitano, con la chiarezza della tua luce, che siamo decisi a pro­pagare» (Beato Escrivà).

La chiesa cattolica: istituzione divina

di Fra Crispino Lanzi
 
A fianco di Maria Vergine un’altra madre ci protende le braccia, la Chiesa. Alessandro Manzoni la canta con queste parole: “Madre dei santi, / immagine della città superna, / del Sangue incorruttibile / conservatrice eterna”.
La Bibbia e il Vaticano II ce la presentano talmente grande e piena di luce e ricca di tanti tesori spirituali da non poterla definire con un sol termine e perciò la descrivono con tante figure; ne riportiamo qualcuna: è l’ “ovile” la cui porta è Cristo; è il “campo di Dio”; è l’ “edificiodi Dio; è la “sposadi Cristo; è il suo “Corpo Mistico”; è il “popolo di Dio”.
1. LA CHIESA È IL CORPO MISTICO DI CRISTO. Davanti a tanto splendore, quale brutta figura fanno tanti poveri laicisti e anticlericali che (o con cattiveria o con spaventosa ignoranza) vanno blaterando: “Cristo sì, Chiesa no!” Voi, figli della luce non ripetete mai questa tenebrosa menzogna. Ma ascoltate lo Spirito, il Quale, per mezzo di S. Paolo, ripetutamente grida “Cristo è il Capo, la Chiesa è il suo Corpo”.
Avete mai visto passeggiare per le strade o per le piazze un corpo senza capo o un capo senza corpo? Come non può esistere un capo senza corpo e viceversa, così non esiste Cristo senza Chiesa e Chiesa senza Cristo. Chi rifiuta la Chiesa Corpo di Cristo, rifiuta Cristo Capo della Chiesa.
Il Card. Pellegrino ripeteva: “Per essere cristiani bisogna fare una scelta: o restare con Cristo nella Chiesa o mettersi fuori della Chiesa e non essere più con Cristo”.
Pio XII affermava: “La Chiesa è il prolungamento di Gesù nel tempo e nello spazio”. Infatti continua nei secoli la missione di salvezza di Gesù, rimanendo sempre fedele al comando di Cristo Dio, il Quale disse agli Apostoli e ai loro successori (Papa, Vescovi, Sacerdoti): “Come il Padre ha mandato me, così Io mando voi”. “Chi ascolta voi ascolta Me; e chi disprezza voi disprezza Me”.
“A me è stato dato ogni potere in Cielo e in terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti…insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandate”.
“Io sono con voi fino alla fine del mondo”.
2. LA CHIESA È ISTITUITA DA GESÙ: È voluta dal Padre, è fondata dal Figlio, è animata dallo Spirito Santo. Il Vangelo c’è ne dà l’assoluta certezza.
Il celebre scrittore Papini grida: “Una sola luce: il Vangelo; al di fuori del Vangelo tutto è buio, buio, popolato di larve e di mostri”. Il Vangelo è il libro il più storico dell’antichità, è l’unico sicuramente veritiero. Da giovane studente rimasi impressionato nell’udire in Piazza Maggiore di Bologna questa bella frase del prof. Giovanni Albanese: “Se i Vangeli non sono storici, nessun altro documento è storico, perché nessun altro fu mai così fondato, così comprovato, così testimoniato, così analizzato, anatomizzato e studiato, come i Vangeli”.
I Vangeli sono stati scritti da due Apostoli (testimoni oculari e auricolari di tante cose che scrivono) e da due discepoli degli Apostoli i quali non fanno altro che scrivere la predicazione che hanno udita dagli Apostoli. Da una attenta lettura si conosce che la loro unica preoccupazione è quella di dire la verità. E sono morti martiri per testimoniare che era vero quanto avevano scritto. La stessa cosa è avvenuta per gli scrittori degli Atti e delle Lettere apostoliche.
Ora, Pascal afferma: “Io credo ai testimoni e agli storici che si lasciano uccidere per affermare che è vero quanto hanno detto e quanto hanno scritto”.
Prendendo in mano il Vangelo, gli Atti e le Lettere apostoliche conosciamo con chiarezza solare che  Gesù ha istituito la Chiesa. Infatti, dopo una notte passata in preghiera, Egli, tra i discepoli sceglie 12 uomini, li chiama Apostoli, li abitua all’apostolato. E mentre ha chiesto a tutti i suoi seguaci, uomini e donne, di seguirlo, di essere suoi testimoni, di diventare santi, soltanto a quei 12 uomini (ossia agli Apostoli e ai loro successori) concede i seguenti poteri: Celebrare l’Eucaristia. Predicare e battezzare. Rimettere i peccati. Ungere gli infermi con olio santo. Dirigere e governare la Chiesa. Fare leggi e toglierle. S. Paolo parla pure del Sacramento del Matrimonio. Gli Apostoli amministrano la Cresima, conferiscono l’Ordine Sacro, consacrando altri Vescovi e Sacerdoti, rimproverano e puniscono ( come nel caso di Anamia e Saffica).
Gesù sulla croce ha affidato la Madonna come madre spirituale a ogni cristiano rappresentato da S. Giovanni.
Gesù ha pure scelto il fondamento, il Capo, il Pastore supremo della Chiesa: è Pietro,di cui parleremo nella seguente catechesi.
Gesù chiaramente fa capire che gli Apostoli dovevano avere dei successori, infatti afferma: “Predicate e battezzate tutte le genti”, “sarò con voi fino alla fine del mondo”. Ora, come risulta dai documenti storici, Pietro è morto quando era Vescovo a Roma e successori di Pietro sono stati i Papi; successori dei 12 Apostoli sono i Vescovi.
Io conosco un solo Gesù vero, e una sola Chiesa vera: il Gesù e la Chiesa del Vangelo. Ebbene  la Chiesa vera è soltanto quella che ha sempre mantenuto e continua a mantenere i punti fermi che sono stati stabiliti da Cristo Dio e che abbiamo ora esposti: punti essenziali e irrinunciabili: S. Messa, i sette Sacramenti, Predicazione Apostolica, Devozione a Maria Vergine,Sacra Gerarchia come è voluta da Gesù cioè comprende Papa e Vescovi, Sacerdoti e Diaconi…Chi rifiuta anche uno solo di questi elementi essenziali, non appartiene più alla vera Chiesa di Cristo. La Chiesa vera non può abdicare a ciò che di essenziale ha stabilito Cristo Dio e non può negare neppure una delle verità che Gesù ha chiaramente insegnato e gli Apostoli hanno predicato.
Tutti questi punti fermi, tutte queste verità, soltanto nella Chiesa Cattolica sono stati creduti sempre, da tutti, concordemente (sempre, ab omnibus, unanimiter!). 
3. GESÙ CI SALVA SOLO PER MEZZO DELLA CHIESA.
Quindi il demonio farà tutto il possibile per allontanare le anime dai Sacerdoti, dalla Chiesa.
Una obiezione che fa strage… (una fra tante): molti Sacerdoti e perfino Vescovi e Papi sono cattivi, affaristi, scandalosi, quindi non credo alla Chiesa, non andrò mai più ai Sacramenti e alla Messa. Rispondo: di fronte alla Chiesa o si è stercorari che vanno all’affannosa ricerca soltanto di rifiuti e di marciume oppure si è api che non si posano mai sulla sporcizia, ma vanno a posarsi sui fiori preoccupate solo di inebriarsi del nettare e del miele. Tu impegnati a essere un’ape. I Sacerdoti pur essendo distributori dei tesori santissimi di salvezza, sono uomini e quindi hanno i loro difetti, tuttavia moltissimi Sacerdoti e Vescovi sono ottimi. E su 264 Papi che sono esistiti, ben 82 sono Santi tra cui 33 Martiri, 8 sono Beati e diversi sono Servi di Dio. Se ci sono dei Sacerdoti cattivi, se la vedranno loro stessi davanti al tribunale di Cristo; al vero credente in Gesù interessa soltanto che egli gli abbiano trasmessi intatti, nel corso di 2.000 anni questi tre grandi tesori spirituali: l’Eucaristia, la Parola di Dio (ossia tutte le verità rivelate), il Perdono dei peccati nella Confessione.
Napoleone dall’alto della roccia di S. Elena contemplò a lungo il mare, il cielo e pensando al suo Impero andato in frantumi, esclamò: “I popoli passano! I troni crollano! La Chiesa resta!” Sì, la Chiesa resterà per sempre perché non è opera d’uomini,ma è opera di Cristo Dio.
Perfino Eistein ha detto: “La Chiesa cattolica è la sola eminente e storicamente durevole organizzazione”.
La Chiesa è morta? No! Sono morti alla Grazia di Dio coloro che l’abbandonano. La Chiesa non morirà mai!
Dice S. Paolo: “È la Chiesa del Dio vivente colonna e sostegno della verità”.
Ripeteremo, perciò, con  S. Giovanni Crisostomo: “ La nostra speranza è la Chiesa, la nostra salvezza è la Chiesa, il nostro rifugio è la Chiesa”.
Rifletteremo alle parole di S. Cipriano: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre!
Ascoltiamo il monito di S. Agostino: “Che ti giova se lodi il Signore, onora il Padre, testimoni in Figlio (Gesù), se bestemmi la Chiesa? Chi vive fuori della Chiesa non sarà mai annoverato tra i figli di Dio. Tu avrai tanto di Spirito Santo quanto di amore avrai alla Chiesa… Carissimi, considerate dunque tutti, all’umanità, Dio Padre e la Chiesa Madre affinché la benedizione del Signore resti in eterno”.
1° ESEMPIO: I Martiri di una cittadina della Frigia:
Lo storico Lattanzio racconta che gli abitanti cristiani furono tutti rinchiusi nella cattedrale. Poi fu loro imposto di uscire come segno che intendevano abbandonare la religione cristiana cattolica. Se non fossero usciti significava che volevano rimanere cattolici e perciò sarebbero stati bruciati vivi. Nessuno uscì. Tutti preferirono morire tra le fiamme piuttosto che rinnegare la Chiesa.
2° ESEMPIO: P. Lazzaro Graziani, Cappuccino veneto Missionario martirizzato con oltre 100 coltellate.
In uno dei suoi viaggi missionari arriva (il 14 Marzo 1961) nel villaggio africano di Pargala (Angola). Ha un vasto programma di lavoro: catechesi, confessioni, ecc. A sera entra nella capanna che gli hanno preparato per un po’ di riposo. Ma nella notte, prima dell’alba, numerosi soldati sbandati e protestanti, venuti da lontano, abbattono la fragile porta, gli strappano i vestiti, lo trascinano e lo legano a un palo in mezzo alla piazza del villaggio, e per due giorni e per due notti lo privano di cibo e di acqua e lo bastonano e lo torturano. Se fosse diventato protestante chissà quanti onori avrebbe ricevuto! Il missionario continua a stringere nella sua mano destra il piccolo Crocifisso che gli aveva consegnato Papa Giovanni 23° e che i carnefici non sono riusciti a strappargli, e prega, prega, e invoca la Madonna di cui è molto devoto. All’improvviso arriva uno dei capi dei soldati in rivolta, di nome Alfredo; anche lui è protestante. Chiede: “Chi è questo bianco?” Gli rispondono: “È un missionario cattolico”. Grida a squarciagola: “Allora, se è cattolico, uccidetelo!” Quegli uomini subito si mettono all’opera, ma lo fanno morire a poco a poco. Con lunghi coltellacci (detti catana e che servono per farsi strada nella foresta) gli si avventano contro, eccitati dall’alcool, al ritmo del tamburo, tra urli selvaggi, in una danza sfrenata. I colpi si succedono ai colpi. Lui continua a stringere il Crocifisso e prega ad alta voce, e ripete parole di perdono ai suoi carnefici. Lo fanno letteralmente a pezzi. Poi fuggono. I Cattolici si avvicinano, vedono il loro amato missionario ridotto a brandelli sparsi per la piazza; e, con meraviglia di tutti, viene trovata la mano destra intatta e che ancora stringe il Crocifisso.
Noi tutti, sull’esempio di questi gloriosi martiri dovremmo amare tanto la Chiesa da tenerci pronti, se è necessario, a essere bruciati vivi o a essere fatti a pezzi pur di conservare la fedeltà alla sua Chiesa: Chiesa che “è necessaria alla salvezza”; Chiesa che è “ il Regno di Cristo già presente”, che è “ dimora dello Spirito Santo”; Chiesa che “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”; Chiesa “che brilla ora quale segno di sicura speranza”, fino a quando, questa Chiesa pellegrinante sarà trasformata in Chiesa trionfante attorno alla Madre del Signore nella luce e nella gioia senza fine del Cristo risorto.
PROPOSITO: preghiamo ogni giorno la Madonna per la Chiesa: chi più di Lei l’avrà a cuore, Lei che Paolo VI ha proclamato “Madre della Chiesa”?

PRIMI SIMBOLI CRISTIANI


(di Guido Zunino ed Enrico Zanotti)


ochi sono i simboli cristiani dei primi secoli dell'era attuale che ci sono pervenuti.     E questo in considerazione del fatto che all'inizio la Religione Cristiana, oltre a non essere ancora molto diffusa era seguita con molta discrezione  dai Credenti per non attirare troppo l'interesse dell'imperatore al potere in quel periodo.

 Simbolo Cristiano del PESCE
Certamente uno dei più antichi simboli della Cristianità è il cosiddetto PESCE (o ICHTHYS).      Esso compare in alcune prime iscrizioni e monogrammi  molto antichi e la sua origine viene attribuita alla trascrizione dal greco antico al latino delle iniziali delle parole della seguente frase greca: " Ίηδοΰς Χριοτός Θεού Υισς Σωτηρ " (Iesùs CHristò THeù HYiòs Sotèr), che tradotta in italiano diventa "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore".
     Data la sua semplice esecuzione grafica, era uno dei metodi per riconoscersi tra cristiani durante il periodo delle persecuzioni imperiali tra il I e il IV secolo.
     Un cristiano che voleva sincerarsi dell'appartenenza di un altro alla stessa fede, tracciava l'arco superiore del simbolo ed aspettava che l'altro lo completasse con l'arco inferiore per farsi riconoscere come seguace della stessa religione.
     Altre motivazioni vengono attribuite alla simbologia del "Miracolo dei pani e dei pesci" , ed al brano evangelico in cui Gesù dice a Simone: "Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini ". 

Simbolo del MONOGRAMMA DI CRISTO o CHI-RHO   Simbolo del MONOGRAMMA DI CRISTO o CHI-RHOSimbolo del MONOGRAMMA DI CRISTO o CHI-RHO 


Questo simbolo, che sopra è rappresentato in tre forme derivate, è detto anche "MONOGRAMMA DI CRISTO", o "CHI - RHO", nome generato dalle due lettere greche componenti il simbolo: la "X"(in greco "chi") e la "P"(in greco "rho") che rappresentano le iniziali della parola "Χριοτòς"(Khristòs) che nell'antica lingua significava  "unto", parola che veniva usata per identificare Gesù.     Al simbolo originale furono poi aggiunte ai lati due altre lettere greche la "α" e "ω" ; alfa ed omega che, prima ed ultima lettera dell'alfabeto greco, rappresentano il principio e la fine del creato.
     Questo simbolo, di chiara derivazione greca, era utilizzato in origine in prevalenza nella parte orientale dell'impero e veniva di solito inciso sui sarcofagi cristiani a partire dal III secolo.     Solo dopo l'editto di Milano emesso da COSTANTINO I sarà usato anche nelle chiese e basiliche occidentali diventando di uso comune a partire dal IV secolo.
     Alcune leggende riferiscono che lo stesso COSTANTINO I  inserisse questo simbolo tra le sue insegne militari perché aveva avuto una premonizione in sogno prima della battaglia di Ponte Milvio del 312 contro MASSENZIO.      A vittoria avvenuta dedicò quindi l'evento al "Dio dei Cristiani", proibendo la persecuzione di coloro che seguivano quella religione, così che il Cristianesimo poté svilupparsi liberamente.   

 Simbolo del CRISTOGRAMMA  Simbolo del CRISTOGRAMMA 
Questo simbolo, chiamato anche CRISTOGRAMMA, è stato usato dalla chiesa cattolica fin dal primo Medioevo per identificare Gesù, Iesus (in latino) o Ιησΰς (in greco).
     Il suo utilizzo venne poi diffuso ampiamente da San Bernardino da Siena che nel XIV secolo lo propose alla venerazione come iconografia sacra circondandolo da raggi solari.
     Il significato può essere interpretato con l'abbreviazione delle iniziali della frase latina "Jesus Hominum Salvator "   che tradotto significa "Gesù Salvatore degli Uomini ".
     Si deve anche citare che l'aggiunta della croce sopra la "H" maiuscola o il trattino sull' "h" minuscola (che in origine non comparivano) è stato imposta da papa Martino V nel 1427, per evitare che si profanasse l'icona con un uso puramente idolatrico e per riportare la simbologia nell'ambito del Cristianesimo.
     Si deve pure citare che alcuni studiosi interpretano questo simbolo anche con la frase latina "In Hoc Signo", traducendola in : "Sotto Questo Segno" o "Con Questo Segno" e ponendo il simbolo come emblema della religione cristiana.

 Reliquia del TITULUS CRUCIS    Simbolo del TITULUS CRUCIS  
 L'iscrizione denominata TITULUS  CRUCIS  sarebbe stata in origine fatta in tre lingue: latino greco ed ebraico, e messa sopra la croce su cui venne crocifisso Gesù per dichiarare ai passanti il motivo della condanna.     La sintesi in quattro lettere (INRI) deriverebbe, come detto dai Vangeli di Matteo e Giovanni, dalla frase latina "Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum" cioè " Gesù Nazareno Re dei Giudei ".
     L'immagine in alto a sinistra rappresenta la reliquia della tavoletta posta sopra la croce e conservata nella chiesa di Santa Croce di Gerusalemme a Roma assieme ad altri frammenti della "Santa Croce".     La tavoletta reca alcune parti della iscrizione in latino e greco, scritte al contrario come si usava in Gerusalemme, e fu portata a Roma certamente nel IV secolo dalla madre di COSTANTINO I.     La sua datazione, secondo recenti esami tecnici, è da attribuirsi però tra il X e il XI secolo, ma potrebbe trattarsi certamente di una precisa copia dell'originale andato purtroppo perduto. 

 Simbolo della CROCE  

         La CROCE, durante i primi decenni del Cristianesimo, non veniva certamente considerata uno dei simboli  della religione perché essendo ancora usata come strumento di esecuzione capitale sarebbe stata di cattivo auspicio.
     Le prime notizie storiche sull'uso della Croce come simbolo risalgono ad un pagano dio-sole babilonese, e le prime immagini note in occidente sono su alcune monete romane del I secolo a.C.
     Un antico uso della Croce come simbolo è noto anche in culture indù e buddiste dell'India e della Cina.
     Per la Cristianità la croce inizia a comparire in alcune  chiese attorno alla metà del III secolo, ma sarà solo sotto COSTANTINO I (IV secolo) che avrà la sua maggiore diffusione ed impiego come simbolo Cristiano.
     La religione Cristiana propone ora la CROCE come simbolo principale perché rappresenta la Redenzione che Gesù Cristo, con la sua morte, ha indicato agli uomini credenti come modo per arrivare alla vita eterna dopo la morte terrena.  

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STORIA DELLA MADONNA DELLE LACRIME A SIRACUSA


Il 21 Marzo 1953, sabato, ebbi la gioia di benedire, con cuore di Padre, nella nostra Chiesa Parrocchiale del Pantheon, le nozze di due semplici creature: Angelo Iannuso di Vincenzo e Antonina Lucia Giusto di Eduardo. Gli sposi avevano progettato di celebrare le nozze in Dicembre del 1952, durante l'Ottavario della Festa di S. Lucia, nella Basilica del Sepolcro. Per un lutto di famiglia la data del matrimonio fu trasferita e si rimase così nella Parrocchia della sposa. Assai gradito ai giovani sposi fu il regalo di un quadretto da capezzale raffigurante il Cuore Immacolato di Maria: dono di nozze di una loro cognata, che l'aveva acquistato per L.3.500 presso l'Emporio di Salvatore Floresta al Corso Umberto I n. 28 in Siracusa.
Sotto lo sguardo della Mamma del Cielo ha inizio in Via degli Orti di S. Giorgio n. 11, la vita della nuova famigliola sostentata da un duro lavoro quotidiano, ben presto confortata dalla speranza di avere una creaturina, frutto di un sincero amore. Ma si presentava intanto per Antonina una gravidanza difficile, tanto che talvolta le offuscava la vista. Nella notte che va dal 28 Agosto al 29 Agosto Antonietta si sentì tanto male... Verso le 3 perdette completamente la vista; fino alle ore 8,30 circa non ci vedeva affatto. Durante uno degli attacchi convulsivi ritrovò la vista. Non credeva a se stessa. Aprendo gli occhi, intanto, vide che la Madonna del suo capezzale piangeva. Emozione, timore, gioia... Facile pensare come la notizia si sparse nel vicinato fino a diffondersi in tutto il rione e poi in tutta la città. Era vero... la Madonna di Antonietta piangeva, versava dagli occhi lacrime vere. In quella mattinata del sabato 29 Agosto 1953 la Madonnina (è questo il nome che il popolo subito ha gridato) ha versato lacrime sei o sette volte. La folla premeva in quella povera casetta, tutti volevano vedere. Fu chiamata la Polizia: questa dovette constatare che la Madonna piangeva veramente. Si dispose così un severo servizio d'ordine al comando del Dott. Nicolò Samperisi, Commissario dirigente l'Ufficio di P. S. nella cui giurisdizione era posta Via degli Orti, validamente coadiuvato dal Brigadiere Umberto Ferrigno. Facile pensare come in tutto il rione del Pantheon si parlasse animatamente di un fatto così straordinario. C'era chi gridava al miracolo, ma c'era anche chi non credeva, prospettando la possibilità di un trucco balordo... Molti mi chiedevano se io fossi andato a vedere. Ma, a dire il vero, non me la sentivo di fare la parte del curioso. Ma intanto verso sera del 30 si presentano davanti al cancelletto della mia Casa Canonica due uomini di età matura (li ho davanti agli occhi, ma non so individuarli) che con linguaggio serio e persuasivo mi invitano ad andare in Via degli Orti n. 11 perché la Madonna veramente piangeva. Mi dicono: «Padre, la Madonna piange... venga. Che ne pensa Lei?».
Nella mattinata di lunedì, prima di Messa, vengono in sagrestia del Pantheon due bambine che con affabilità mi dicono che la Madonna piange e poi, con insistenza, soggiungono: «Vada, Padre Bruno, vada, la Madonna piange davvero, noi l'abbiamo vista». Non volli lasciarle deluse e promisi che sarei andato. Nel pomeriggio dello stesso lunedì 31 Agosto Mons. Giuseppe Cannarella, Cancelliere della Curia Arcivescovile di Siracusa, viene nell'Ufficio Parrocchiale del Pantheon per trattare in merito ad una pratica di matrimonio. Siamo seduti l'uno di fronte all'altro nelle due classiche poltrone. Il discorso cade sugli avvenimenti del giorno. Dico al pio Monsignore che da più parti si chiede un giudizio dell'Autorità Ecclesiastica. - Bisogna essere molto prudenti, mi dice Monsignore. Al che rispettosamente replico: «Prudenti si, ma fino a quando?». Mons. Cannarella resta pensoso e poi mi dice: - Cosa potremmo fare? Suggerisco timidamente la opportunità di provvedere ad un esame del liquido che sgorgava dal quadretto.
Decidiamo così di andare subito al Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia, al Foro Siracusano, per chiedere una eventuale analisi delle lacrime. In Ufficio si teneva orario straordinario e fu quindi possibile incontrarci con il Dott. Francesco Cotzia, al quale esponemmo la nostra richiesta. Il Dott. Cotzia si dichiarò disponibile e volle interessare il collega Dott. Michele Cassola. Questi si dimostrò piuttosto scettico, ma sinceramente interessato a vederci chiaro per amore di verità. Si concordò così per l'indomani mattina una visita in casa di Via degli Orti 11 con il proposito di accertare quanto si asseriva in merito alla lacrimazione del quadretto e quindi procedere ad un sufficiente prelievo del liquido (per mezzo di adatte pipette) per sottoporlo ad un rigoroso esame scientifico. Mons. Cannarella, dopo questo colloquio, si sentì come sollevato da un peso e mi disse queste testuali parole: «Parroco, disponi tu nel modo più opportuno e segui di presenza minutamente gli eventi. Io riferirò a Mons. Arcivescovo. Tu intanto informa, perché sia presente domani all'arrivo della Commissione in Via degli Orti, il Parroco di S. Lucia al Sepolcro Padre Arcangelo Signorino O.F.M., competente per territorio».
Mi premurai di parlare con il Capo di Gabinetto del Questore per informarlo della composizione della Commissione scientifica e della decisione di procedere l'indomani all'esame del liquido. Lo pregai pertanto di disporre di non fare togliere da nessuno il quadro dal luogo dove veniva conservato la notte, se prima non arrivasse in casa lannuso la Commissione da me guidata. La Questura informò il Commissario di P. S. Dott. Samperisi e tutto fu fedelmente eseguito. Mons. Giuseppe Cannarella, essendo Cancelliere della Curia Arcivescovile di Siracusa, in quel periodo era l'unica Autorità Ecclesiastica in sede, poichè l'Arcivescovo Mons. Ettore Baranzini si trovava presso la Villa S. Metodio, Seminario di villeggiatura in Canicattini Bagni. Consapevole della delicatezza del compito affidatomi dalla fiducia di Mons. Cannarella, credetti opportuno invitare a far parte della Commissione un tecnico dotato di scrupolose qualità, l'Ing. Luigi D'Urso. Questi aderì ben volentieri. La Commissione, guidata dal Parroco Giuseppe Bruno, veniva così formata dai Dottori Francesco Cotzia, Michele Cassola e Ingegnere Luigi D'Urso. Punto di incontro per recarci insieme in Via degli Orti fu scelto lo stesso Ufficio Provinciale di Igiene in Foro Siracusano. Mentre stavamo per scendere le scale del detto Ufficio ci è venuto incontro il Dott. Roberto Bertin, che era chimico della Squibb in servizio a Siracusa. Meravigliato per il nostro gruppetto, ce ne chiese il motivo e mi pregò di volerlo accogliere tra noi. Io lo accettai prontamente perché era un chimico ed era quindi utile per il nostro compito. Bertin fu così aggregato alla Commissione. Giunti in Via degli Orti il servizio di Polizia ci aprì un varco in mezzo alla folla assiepata, ma, arrivati davanti alla porta di casa Iannuso, non ci volevano fare entrare; la Signora Antonietta era troppo seccata e stanca. Non valsero neppure le insistenze del Dott. Samperisi. Ma appena la Giusto mi vide in quel gruppetto fu presa da una gioia serena, ricordandosi che io avevo benedetto il suo matrimonio.
Mi invitò ad entrare e vedere la foto-ricordo della cerimonia di nozze. Io replicai: «O tutti o nessuno!». Si convinse e così potemmo entrare. Il Parroco Signorino, che era stato da me invitato a nome di Mons. Cannarella, era venuto con un taccuino in mano, ma ben presto si congedò dicendomi: «Mi faccia sapere qualche cosa». Nella camera da letto, i materassi erano ripiegati, trovammo il Ten. Col. Giovanni Grasso, Comandante il Presidio Militare di Siracusa, il Ten. Col. Carmelo Romano, un gruppetto di Agenti dell'ordine e qualche altra persona. Fu aperto il cassetto, dove il quadro era deposto, coperto da una tovaglietta bianca; ma quanta fu l'emozione nel constatare che gli occhi erano coperti di liquido! L'immagine fu accuratamente asciugata con cotone e poggiata sul materasso. Volemmo restare in attesa che il fenomeno si manifestasse dinanzi a noi. Venne pure il Dott. Mario Marletta, anche lui funzionario dell'Ufficio Provinciale di Sanità. Non sto a descrivere i sentimenti di commozione e di timore insieme che invasero il nostro cuore quando dopo le ore 11 l'immagine cominciò a manifestare gli occhi gonfi di lacrime come persona presa da forte emozione, e poi scendere giù delle lacrime che, rigando il volto delicato, andavano a raccogliersi nel cavo della mano. Purtroppo alcuni presenti riuscirono ad assorbire qualche lacrima con del cotone, ma i chimici con la loro pipetta poterono assicurarsi una parte del liquido. Io, sebbene avessi portato con me del cotone, non osai toccare minimamente neanche una goccia di quelle lacrime perché sentivo la grave responsabilità di assicurare alla indagine scientifica un fenomeno che già interessava tanta parte del mondo. Da quel momento in cui i chimici poterono raccogliere almeno una parte delle lacrime sgorgate in loro presenza la Madonna non ha pianto più. Segno... che lascia pensare. È da notare che l'Ing. D'Urso volle smontare l'immagine di gesso dalla lastra di supporto e al cospetto di tutti si poté constatare che il gesso era perfettamente asciutto. I chimici, recatisi di urgenza presso il Laboratorio Provinciale di Igiene, dettero inizio subito all'analisi delle lacrime della Madonna di gesso, analisi meticolosa che si protrasse nei giorni 1 e 2 Settembre con la mia attenta presenza. Ed ecco una prima relazione giurata, stilata in data 9 Settembre 1953, cui seguì in pari data una relazione analitica del liquido sgorgato dagli occhi della Madonnina di Via degli Orti n. 11 a Siracusa.
«Il giorno 1 settembre 1953, alle ore 11, per incarico del Cancelliere della Curia Arcivescovile di Siracusa Mons. Giuseppe Cannarella, ci siamo recati in via degli Orti n. 11, abitazione della signora Giusto Antonietta, per constatare il presunto fenomeno della fuoruscita di liquido da una immagine di Madonna. Con l'aiuto degli agenti di P. S., che ci hanno fatto passare tra la numerosa folla stazionante davanti la casa, siamo entrati in una camera da letto che riceve luce da una finestra prospiciente in via Carso, dove la detta signora, a nostro invito, ha aperto un cassetto chiuso a chiave, in fondo al quale coperta da un tovagliolo, era riposta una immagine della Madonna apparentemente di maiolica colorata su vetro nero. Detta immagine era già evidentemente bagnata in più posti della faccia e del busto, che sono stati accuratamente asciugati con cotone. E rimasta così una sola goccia, all 'angolo interno dell 'occhio sinistro che è stata prelevata con una pipetta di 1/10 di cm.3. Successivamente altre gocce sono sgorgate dallo stesso posto e sono state ancora raccolte. Mentre si riponeva il contenuto in un tubo di vetro, altre lacrime sono scese dall 'occhio e si sono raccolte sull 'incavo formato dalla mano sorreggente il cuore, dove sono state pure prelevate. Non è stato possibile durante il prelevamento impedire che parte delle lacrime fossero asciugate dagli astanti. In tutto è stato portato in Laboratorio poco più di un cm3 di liquido. Il fenomeno, durato circa quindici minuti, da quando l'effige è stata messa fuori dal cassetto, non si è più ripetuto e non è stato possibile quindi di avere altro materiale per l'esame. «È da notare che l'esame con lenti di ingrandimento degli angoli interni degli occhi non ha fatto rilevare nessun poro o irregolarità della superficie dello smalto. La parte di apparente maiolica dell'effigie è stata staccata dal vetro nero di supporto e si è potuto notare che la immagine è costituita da uno spessore di gesso vario da 1 a 2 centimetri circa, verniciato a colori vari all 'esterno e grezzo all 'interno, dove mostra una superficie irregolare bianca che al momento dell'esame si mostrava completamente asciutta. «Firmano quali membri della Commissione incaricata: Dott. Michele Cassola, Dott. Francesco Cotzia, Dott. Ing. Luigi D 'Urso, Parroco Rev. Giuseppe Bruno. «Erano presenti pure: il Commissario di P.S5. dott. Samperisi Nicolò, il prof Greco Pasqualino da Floridia, il dott. Bertin Roberto, Chimico, il brigadiere di P. S. Ferrigno Umberto, il Ten. Col. Giovanni Grasso, Comandante il Presidio militare di Siracusa ed il Ten. Col. Carmelo Romano, ufficiale superiore del Presidio». «I primi quattro firmatari tanto attestano, prestando giuramento, sui SS. Vangeli, di dire tutta la verità e soltanto la verità».
 «In fede Siracusa, 9 settembre 1953. Parroco Giuseppe Bruno».

Il Miracolo Eucaristico di Lanciano - VIDEO -

L’antica Anxanum dei Frentani conserva, da oltre dodici secoli, il primo e più grande Miracolo Eucaristico della Chiesa Cattolica.
Tale Prodigio avvenne nel sec. VIII d. C.,nella piccola chiesa di San Legonziano, per il dubbio di un monaco Ba­siliano sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia.
Durante la celebrazione della Santa Messa, fatta la dop­pia consacrazione, l’ostia diventò Carne viva e il vino sì mutò in Sangue vivo, raggrumandosi in cinque globuli ir­regolari e diversi per forma e grandezza.
L’Ostia‑Carne, come oggi si osserva molto bene, ha la grandezza dell’ostia grande attualmente in uso nella Chiesa latina, è leggermente bruna e diventa tutta rosea se osser­vata in trasparenza.
Il Sangue è coagulato, di colore terreo, tendente al giallo‑ocra. La Carne, dal 1713, è conservata in un artistico Ostenso­rio d’argento, finemente cesellato, di scuola napoletana. Il Sangue è contenuto in una ricca ed antica ampolla di cristallo di Rocca.
I Frati Minori Conventuali custodiscono il Miracolo fin dal 1252, per volere del vescovo di Chieti, Landulfò, e con Bolla pontificia del 12.5.1252.
Precedentemente si erano succeduti i Monaci Basiliani fino al 1176 e i Benedettini fino al 1252.
Nel 1258 i Francescani costruirono l’attuale Santuario che, nel ‘700, subì la trasformazione dallo stile romanico‑gotico in barocco.
Il «Miracolo» fu collocato dapprima in una Cappella a la­to dell’altare maggiore, quindi, dal 1636, in un altare la­terale della Navata, che conserva ancora l’antica custo­dia in ferro battuto e l’epigrafe commemorativa.
Dal 1902 il «Miracolo» è custodito nel secondo taberna­colo dell’altare monumentale, fatto erigere dai Lanciane­si, al centro del presbiterio.
Alle varie ricognizioni ecclesiastiche, condotte fin dal 1574, segui, nel 1970‑1971 e ripresa in parte nel 1981, quella scientifica, compiuta dal Professore Odoardo Li­noli, libero docente in Anatomia e Istologia Patologica e in Chimica e Microscopia Clinica, coadiuvato dal Prof. Ruggero Bertelli, dell’Universítà di Siena.
Le analisi, eseguite con assoluto rigore scientifico e do­cumentate da una serie di fotografie al microscopio, han­no dato questi risultati:
La Carne è vera Carne. Il Sangue è vero Sangue.
La Carne e il Sangue appartengono alla specie umana.
La Carne è un “CUORE” completo nella sua struttu­ra essenziale.
Nella Carne sono presenti, in sezione, il miocardio, l’en­docardio, il nervo vago e, per il rilevante spessore del miocardio, il ventricolo cardiaco sinistro.
La Carne e il Sangue hanno lo stesso gruppo sanguigno: AB.
Nel Sangue sono state ritrovate le proteine normalmen­te frazionate con i rapporti percentuali quali si hanno nel quadro siero‑proteico del sangue fresco normale.
Nel Sangue sono stati anche ritrovati i minerali: Clo­ruro, Fosforo, Magnesio, Potassio, Sodio e Calcio.
La conservazione della Carne e del Sangue Miracolo­si, lasciati allo stato naturale per dodici secoli ed espo­sti all’azione di agenti risici, atmosferici e biologici, ri­mane un Fenomeno Straordinario.
A conclusione si può dire che la Scienza, chiamata in cau­sa, ha dato una risposta sicura ed esauriente circa la au­tenticità del Miracolo Eucaristico di Lanciano.
Imprimatur: + Enzio D’ANTONIO ‑ Arcivescovo di Lanciano ‑ Ortona

Peccato veniale e peccato mortale

dal Catechismo della Chiesa Cattolica, numeri 1846-1857

I. LA MISERICORDIA E IL PECCATO
Il Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della misericordia di Dio verso i peccatori [Cf Lc 15 ]. L’angelo lo annunzia a Giuseppe: “Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). La stessa cosa si può dire dell’Eucaristia, Sacramento della Redenzione: “Questo è il mio sangue dell’Alleanza, versato per molti in remissione dei peccati” ( Mt 26,28 ).
  
Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi” [Sant’Agostino, Sermones, 169, 11, 13: PL 38, 923].
  
L’accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe. “Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa” ( 1Gv 1,8-9).

Come afferma san Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la Grazia”. La Grazia però, per compiere la sua opera, deve svelare il peccato per convertire il nostro cuore e accordarci “la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” (Rm 5,20-21). Come un medico che esamina la piaga prima di medicarla, Dio, con la sua Parola e il suo Spirito, getta una viva luce sul peccato.

La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell’azione dello Spirito di verità nell’intimo dell’uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell’elargizione della Grazia e dell’amore: “Ricevete lo Spirito Santo”. Così in questo “convincere quanto al peccato” scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 31].

II. LA DEFINIZIONE DI PECCATO

Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito “una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna” [Sant’Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22: PL 42, 418; San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, 71, 6].

Il peccato è un’offesa a Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 51,6 ). Il peccato si erge contro l’amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare “come Dio” (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è “amore di sé fino al disprezzo di Dio” [Sant’Agostino, De civitate Dei, 14, 28]. Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all’obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza [Cf Fil 2,6-9].

È proprio nella Passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell’ora delle tenebre e del Principe di questo mondo, [Cf Gv 14,30] il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.

III. LA DIVERSITÀ DEI PECCATI

La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La Lettera ai Galati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito: “Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Gal 5,19-21) [Cf Rm 1,28-32; 1Cor 6,9-10; Ef 5,3-5; 1852 Col 3,5-8; 1Tm 1,9-10; 2Tm 3,2-5 ].

I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche suddividere secondo che riguardano Dio, il prossimo o se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La radice del peccato è nel cuore dell’uomo, nella sua libera volontà, secondo quel che insegna il Signore: “Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo” (Mt 15,19-20). Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure, che il peccato ferisce.

IV. LA GRAVITÀ DEL PECCATO: PECCATO MORTALE E VENIALE

È opportuno valutare i peccati in base alla loro gravità. La distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, già adombrata nella Scrittura, [Cf 1 Gv 5,16-17] si è imposta nella Tradizione della Chiesa. L’esperienza degli uomini la convalida.

Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell’uomo a causa di una violazione grave della legge di Dio; distoglie l’uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore.

Il peccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca.

Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel Sacramento della Riconciliazione (Confessione).

Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale... tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc... Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo, è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc., tali peccati sono veniali [San Tommaso d’Aquino, Summa Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, 88, 2].

Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: “È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 17].