sabato 21 dicembre 2013

«AMERAI IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO»





Gesù disse ai suoi discepoli: « Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri » (Gv 13,34).
2196 Rispondendo alla domanda rivoltagli sul primo dei comandamenti, Gesù disse: « Il primo è: "Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza". E il secondo è questo: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". Non c'è altro comandamento più importante di questo » (Mc 12,29-31).
L'Apostolo san Paolo lo richiama: « Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti, il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore » (Rm 13,8-10).

Se l’amore di Dio è un dono, è necessario meditare sul dovere di amare, e in particolare sul dovere di amare il prossimo. Il legame tra i due amori è espresso dalla parola di Dio: “Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1 Gv 4,11).

“Amerai il prossimo tuo come te stesso” era un comandamento antico, scritto nella legge di Mosè e Gesù stesso lo cita come tale (Lc 10, 27).
Come mai dunque Gesù lo chiama il “suo” comandamento e il comandamento “nuovo”?
La risposta è che con lui sono cambiati l’oggetto, il soggetto e il motivo dell’amore del prossimo.
È cambiato anzitutto l’oggetto, cioè chi è il prossimo da amare. Esso non è più solo il connazionale, o al massimo l’ospite che abita con il popolo, ma ogni uomo, anche lo straniero, anche il nemico. “Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto?” (Mt 5, 44-47).È cambiato anche il soggetto dell’amore del prossimo, cioè il significato della parola prossimo.
Esso non è l’altro; sono io; non è colui che sta vicino, ma colui che si fa vicino. Con la parabola del buon samaritano Gesù dimostra che non bisogna attendere passivamente che il prossimo spunti sulla mia strada, con tanto di segnalazione luminosa, a sirene spiegate. Il prossimo sei tu, cioè colui che tu puoi diventare. Il prossimo non esiste in partenza, si avrà un prossimo solo se si diventa prossimo di qualcuno. È cambiato soprattutto il criterio o la misura dell’amore del prossimo.
Fino a Gesù il modello era l’amore di se stessi: “come te stesso”. È stato detto che Dio non poteva assicurare l’amore del prossimo a un “piolo” meglio confitto di questo; non avrebbe ottenuto lo stesso scopo neppure se avesse detto: “Amerai il prossimo tuo come il tuo Dio!”, perché sull’amore di Dio – cioè, su cos’è amare Dio – l’uomo può ancora barare, ma sull’amore di sé, no. L’uomo sa benissimo cosa significa, in ogni circostanza, amare se stesso; è uno specchio che ha sempre davanti a sé, non lascia scappatoie.
E invece una scappatoia la lascia ed è per questo che Gesù sostituisce ad esso un altro modello e un’altra misura: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 15,12). L’uomo può amare se stesso in modo sbagliato, cioè desiderare il male, non il bene, amare il vizio, non la virtù. Se un simile uomo ama gli altri “come se stesso” e vuole per gli altri le cose che vuole per se stesso, poveretta la persona che è amata così! Sappiamo invece dove ci porta l’amore di Gesù: alla verità, al bene, al Padre.
Chi segue lui “non cammina nelle tenebre”. Egli ci ha amato dando la vita per noi, quando eravamo peccatori, cioè nemici (Rom 5, 6 ss).
Si capisce in questo modo cosa vuol dire l’evangelista Giovanni con la sua affermazione apparentemente contraddittoria: “Carissimi, non vi scrivo un comandamento nuovo, ma un comandamento vecchio che avevate fin da principio: il comandamento vecchio è la parola che avete udita.
E tuttavia è un comandamento nuovo che io vi scrivo” (1 Gv 2, 7-8). Il comandamento dell’amore del prossimo è “antico” nella lettera, ma “nuovo” della novità stessa del vangelo.
Nuovo perché non è più solo “legge”, ma anche, e prima ancora, “grazia”. Si fonda sulla comunione con Cristo, resa possibile dal dono dello Spirito. Santa Caterina da Siena ha dato la spiegazione più semplice e convincente. Ella fa dire a Dio:
Io vi chiedo di amarmi con lo stesso amore con cui io amo voi.
Questo non lo potete fare a me, perché io vi amai senza essere amato. Tutto l'amore che avete per me è un amore di debito, non di grazia, in quanto siete tenuti a farlo, mentre io vi amo con amore di grazia, non di debito.
Voi non potete dunque rendere a me l'amore che io richiedo. Per questo vi ho messo accanto il vostro prossimo: affinché facciate ad esso quello che non potete fare a me, cioè di amarlo senza considerazione di merito e senza aspettarvi alcuna utilità.
E io reputo che facciate a me quello che fate ad esso”.


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